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Le magnifiche sorti e progressive italiane

Quella del declino è solo una retorica?

Monorchio, Tivelli e la ricerca dell’<i>Economist</i>: c’è davvero da essere ottimisti?

di Alessandro D'Amato - 17 ottobre 2005

Secondo Monorchio e Tivelli, la ricerca sulla competitività dell’Economist Intelligence Unit elaborata per Business International va contro la cosiddetta “retorica del declino” sull’Italia. In un corsivo sul Messaggero i due illustri docenti di economia pubblica parlano di “campanelli d’allarme” che suonano troppo spesso, senza che si riesca a udire anche i suoni più cristallini. Anche se gli indicatori sono negativi, insomma, i ricercatori dell’Economist prevedono che l’Italia risalirà la classifica. “Dei 12 fattori presi in considerazione nella ricerca, quelli che segnalano il punteggio più basso sono il fisco e le opportunità di mercato. Al primo posto tra le palle al piede c’è l’efficacia politica […] che è destinata a passare secondo l’analisi a un punteggio di 5,90 nel 2006-2010, con una performance di 1,1 punti in più”, dicono Monorchio e Tivelli. Anche le politiche per l’impresa e la concorrenza migliorerebbero nel prossimo quinquennio. “Tutto questo significa che, pur tra i vincoli europei e la stagnazione economica, in questi anni si sono gettati alcun semi destinati a produrre germogli incoraggianti”. E molti passi positivi nell’e-government non sono nemmeno contemplati nella ricerca. Insomma anche se nella speciale classifica dell’Economist l’Italia è scesa dal 23° al 31° posto, ci sarebbe da essere ottimisti e da smetterla di parlare di declino.

Ma forse, tanto per dirne una, nella ricerca di Business International sull’efficacia politica e sul suo supposto miglioramento non è compreso il cambio di sistema elettorale, che, secondo la maggior parte dei commentatori, è destinato ad aumentare la frammentazione politica e a rendere di sicuro più tortuoso il processo decisionale.

Oppure, per dirne un’altra, l’Economist, forse nella ricerca non ha contemplato nemmeno i dati Istat sulla povertà. I quali ci dicono che aumenta di quasi un punto la percentuale di famiglie povere, si aggrava il divario Nord-Sud e i consumi sono depressi. Se è vero, poi, che nel fisco statale in futuro la condizione migliorerà, questo probabilmente si ripercuoterà sulle tasse e le tariffe regionali. Di tutto questo si è tenuto conto?

Il report di Efn-Euroframe (il network che riunisce i dieci maggiori istituti di analisi economiche del Vecchio Continente), poi, parla di un’Europa che paga caro il rialzo del petrolio, riducendo le previsioni di crescita del 2005 di almeno 2 o 3 decimali di punto percentuale. In tutto questo, l’Italia è destinata ad accentuare il suo distacco dalla Ue, dopo che per un certo periodo era riuscita – grazie alla comune stagnazione, non certo per virtù – a mantenersi non distante dalla media europea. Ma quel che è più grave è che il distacco è destinato a mantenersi anche nei prossimi due anni, nonostante la tanto sbandierata “ripresina” (che, a quanto pare, ci farà solo uscire dalla recessione per riportarci nella precedente condizioni stagnativa). E che l’Italia stessa chiuderà il periodo 2001-2007 con una crescita complessiva del 5,7%, che una media annuale dello 0,8%. Per sette anni di seguito.

Ancora: la tanto sbandierata miniripresina del Pil sembra, più che uno sprint di fine anno, un “rimbalzo” tecnico dopo i due trimestri consecutivi con il segno meno. Oppure, come hanno detto illustri commentatori, è dovuto più a una ripresa generale dell’economia europea, che traina quella italiana. L’Economist dice di essere ottimisti per il futuro, e nessuno si sente di dargli torto. Ma

il declino non è un’invenzione. Stiamo perdendo la partita della competizione globale, e più tardi se ne prenderà atto e tanto più alto sarà il prezzo da pagare. Essere felici per qualche dato tendenzialmente positivo equivale ad esultare dopo aver segnato il goal della bandiera.

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