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Come volevasi dimostrare. Il problema è il poi

Quanto ancora falliranno i sondaggi?

Da esigenza dei mezzi di comunicazione di massa ad analisi che spesso nasce a tavolino

di Antonio Gesualdi - 11 aprile 2006

Mai ci si può stancare di invitare a gettare alle ortiche il sondaggismo. La pratica ha fallito perfino negli Stati Uniti, ha fallito in Francia, ha fallito in Germania, ha fallito in Italia. Quanto ancora dovrà fallire?
Il sondaggismo è un"esigenza dei mezzi di comunicazione di massa che non potendo misurare l"umore della piazza si sono inventati l"analisi dell"umore a tavolino. Il sondaggismo lavora per categorie e quindi rende solo numero un individuo. Il sondaggismo serve per creare notizie per quei giornalisti che hanno smesso di cercarle consumando scarpe e ora consumano messaggini da cellulare. Il mestiere del sondaggista serve ad altro non a contare, o peggio, prevedere il voto. Altrimenti a che servirebbe votare?
E non facciamo l"errore di pensare che il risultato del Senato dipende dal voto all"estero. Quello è solo un voto che è stato conteggiato per ultimo. Se si contava per ultimo il voto del Lazio sarebbe stato determinante il Lazio. E" chiaro?
E veniamo alle faccende serie. Abbiamo ripetuto fino alla noia che sarebbe finita male: un pareggio catastrofico. Prodi non ha con sé le regioni del Nord, ha tutto il blocco del Centro e non riesce a conquistare la Puglia e la Sicilia. Niente di nuovo. Da oltre 60 anni gli italiani votano così. E da oltre 60 anni abbiamo una classe politica che arriva sempre in ritardo. Troppo tardi per contenere il sogno (incubi!) fascista e comunista, troppo tardi per fermare Tangentopoli, troppo tardi per uscire dal bipolarismo bastardo. Ci vuole sempre il morto per cambiare?
Lode a Massimo D"Alema che, virgolette, ha detto: "noi che ci conosciamo dal "68, che siamo stati del Pci, al "manifesto", in Lotta continua, chi ha aderito alla Svolta e chi no, chi con Craxi e chi contro: il grosso del nostro percorso l"abbiamo concluso." Giustissimo. Si è concluso un percorso di intere generazioni anche se, paradossalmente, la maggioranza al Senato dipende da autorevoli senatori a vita.
E" il segno di una crisi istituzionale profonda che trascina il Paese in un"economia della rendita e in una pervasività dello Stato. Per questo abbiamo un sistema pensionistico perverso, un tasso di occupazione di persone in età attiva (55-64 anni) più basso perfino della Grecia, una popolazione di adulti che si fingono vecchi precocemente per andare in pensione e una massa di giovani che si fingono bambini per poter restare ancora nella cuccia dei genitori. Mentre i bambini italiani, quelli veri, sono in via di estinzione. Abbiamo un rapporto debito/Pil del 108,6% e la previsione per fine 2006 è del 110%. Ci fosse stato un Berlusconi o un Prodi, durante la campagna elettorale, a lanciare questo tema!
Abbiamo una percentuale di anziani sulla popolazione giovane più alta di tutti i paesi del mondo. L"industria manifatturiera è crollata e l"occupazione tiene nei settori come la ristorazione (facciamo panini!). L"industria farmaceutica è l"unica che va bene perché munge dal Sistema sanitario nazionale e ha a disposizione il laboratorio più grande del mondo fatto di anziani che consumano medicine come il pane e chiedono pensioni più alte.
A questo punto se servirà dovremmo cominciare ad urlare anche noi. Il Paese è quello che è. Prendiamone atto. E" un Paese che periodicamente va in stallo politico perché coltiva due grandi visioni ideologiche in tre macro-regioni: il Nordest, il Centro e il Nordovest, Sud e Isole. Ognuna di questa macro-regioni si comporta, politicamente, come un organismo a sé. La decisione politica avviene nelle aree con maggiore popolazione, ovvero quella del Nordovest+Sud+Isole, che è anche quella più altalenante. In quelle aree vi sono regioni e province che alternano il voto. Nel Centro vince sempre la sinistra, nel Nordest vince sempre la destra. Il Paese è spaccato da sempre.
Ciò che hanno confermato queste elezioni è che noi tutti non abbiamo altra scelta che una ricomposizione nazionale; questo è il tema fondamentale che pongono i risultati di queste elezioni. Quale momento storico più opportuno per un"Assemblea Costituente (che darebbe un risultato simile a quello di ieri tolte le finte degli sbarramenti e dei premi) esattamente divisa a metà chiamata a rivedere i principi fondanti per il nostro futuro - a chiudere anche la partita generazionale di cui parlava D"Alema - gli assetti istituzionali e pure una legge elettorale condivisa. Nei momenti di crisi gli italiani non hanno avuto altra scelta che governi di solidarietà, di unità, di conciliazione. Un"Assemblea costituente potrebbe essere la chiave per seppellire definitivamente questo bipolarismo da operetta, rimettere nel loro arido sentiero le estreme inconciliabili e ritrovare una governabilità che, per carità, non si affidi ai tecnici. Questo è un affare politico di tutti gli italiani, non roba da tecnici!

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.