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Politica allo sbando

Quando? Chi? E come?

Ci avviciniamo alle prossime elezioni con milioni di dubbi e una sola certezza: dobbiamo liberarci dalla zavorra. Quanta più e il più in fretta possibile.

di Davide Giacalone - 25 luglio 2012

La data delle elezioni sembra danzare, perché ballerini sono i partiti, le loro idee, i loro programmi, la loro capacità d’interpretare interessi. In realtà resta ferma, inchiodata alla scadenza naturale, e non per impegno di legislatura, ma per paura. Tutti capiscono una cosa: così non si va avanti e il governo Monti, da mesi, pedala nel vuoto. Tutti ne vivono una seconda: non sanno cosa fare. Quando parlano di voto lo fanno nella speranza che l’avversario non vinca, senza per questo immaginare di potere vincere. Si confronteranno due sconfitte, nel bipolarismo dei perdenti. Per capire come uscirne si devo valutare tre elementi, inquadrandoli in un contesto meno misero: a. la data; b. i protagonisti; c. il sistema. a. Avremmo dovuto votare nel 2009, quando il governo di centrodestra smise di funzionare. Non lo facemmo per colpa di Silvio Berlusconi, che volle tirare avanti. Avremmo dovuto votare dopo la caduta di quel governo. Non lo facemmo perché Giorgio Napolitano preferì commissariare il Parlamento. Due scelte formalmente legittime, ma politicamente miopi. Al 2013 ci arriveremo solo perché non si è riusciti a chiudere prima, e non ci si riesce perché la classe politica della seconda Repubblica è una rapa da cui non si cava sangue. Né, del resto, si può votare per poi riconsegnare il governo a chi non s’è candidato, perché in quel caso non ci sarebbe neanche bisogno di riformare la Costituzione, avendola già sbaraccata. Ergo: la data deve essere funzione di un disegno; l’instabilità politica che pompa gli spread è europea, non italiana; quel che noi dobbiamo fare è avviare l’abbattimento del debito facendo scendere la pressione fiscale, quindi con le dismissioni. Se qualcuno lo propone, in modo chiaro, allora votiamo domani mattina, altrimenti allunghiamo la broda, tanto non cambia. b. Mario Monti dice e ripete che non si candiderà. Non vedo perché non dovremmo credergli. Questo, però, cancella l’ipotesi che dopo il voto ci sia una suo governo. Potrebbe fare il ministro, ma non il presidente del Consiglio, ovvero il depositario della responsabilità politica. Da ciò discende che quanti chiedono o allontanano il voto, sempre senza dire da chi intendono farsi guidare, con chi intendono governare e cosa intendono fare, sono solo comizianti da strapazzo. Capisco che il giochino possa essere attizzante, ma è anche totalmente inconcludente. Se gli italiani avessero uno straccio di alternativa indirizzerebbero tutta questa gente verso un non meritato riposo. c. Se non sai cosa fare non sai che strumenti usare. Per piantare i chiodi si usa il martello, per fare i buchi il succhiello. La sega senza nulla da segare porta a pensieri diversi. Il sistema elettorale proporzionale, consustanziale alla Costituzione del 1947, serve a tenere unito un Paese, a discapito dell’operatività del governo. Il sistema maggioritario, che porta con sé forme costituzionali presidenziali o di privilegio per l’istituzione governo, serve a far sì che gli elettori decidano chi governa, dandogli poi i poteri per farlo. Nelle due famiglie ci sono infinite sfumature, ma chi non riesce a stabilire a quale famiglia appartiene è un bastardo. L’Italia del dopo guerra si salvò e crebbe grazie al proporzionale, quella di oggi ha bisogno del maggioritario. Questa è la mia opinione. Le altre sono legittime, purché si capiscano. Se leggete con attenzione (lo so, chiedo troppo) le tante dichiarazioni rilasciate da personaggi e personaggini della politica, trovate un filo conduttore: ciascuno, dal suo punto di vista, s’industria a cercare il modo per conservare il più possibile del passato, nel quale trovò posto. L’interesse dell’Italia va in direzione opposta: il sistema decisionale, politico e non solo, è bloccato da venti anni, riverberando effetti letali sul sistema produttivo e sulla società tutta. Il nostro problema è come liberarci dalla zavorra. Quanta più e il più in fretta possibile.

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