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Globalizzazione e precarietà: idée di dialogo

Pure per i giovani, la scelta è politica

Le manifestazioni dei giovnai di Parigi sono solo uno dei tanti sintomi di disagio

di Tommaso Visone - 07 aprile 2006

In un articolo – “Precarietà, Giovani e Nuova Politica” – acuto e sincero Luca Bolognini espone il suo punto di vista sui problemi che la globalizzazione introduce nel mercato del lavoro e sui possibili rimedi – da lui simpaticamente indicati come antibiotici – adottabili nell"ambito del sistema economico italiano.
Pur condividendo buona parte delle sue osservazioni, chi scrive espone alcune riflessioni critiche rispetto a quanto sostenuto nell"articolo di cui si parla.
La globalizzazione è una realtà, certo, che tuttavia si manifesta con modalità diversificate a seconda del soggetto e della comunità coinvolta, modalità che si determinano socialmente e che non hanno alcun carattere deterministico. I contratti di precariato, svincolati da una più vasta riforma del sistema degli ammortizzatori sociali, hanno questa natura, prevalentemente giuridico-sociale. Sono, cioè, la risposta che una parte della società (gli industriali e gli imprenditori) dà al problema della concorrenza selvaggia e del velocizzarsi del mutamento dei cicli.
E" una soluzione per il rilancio nazionale accomunabile a quella che Bolognini chiama “aspirina” nel suo articolo, in quanto va a creare (soprattutto in Italia) dei grossi problemi sociali, che colpiscono, in seconda battuta, tutto il contesto di azione delle imprese, che si trovano a competere in un mercato dove il lato della domanda potrebbe scendere considerevolmente nei prossimi anni e dove trovare manodopera specializzata verrebbe ad essere molto più difficile (senza una riforma della scuola e del welfare non vi sarebbe e non vi è, infatti, la qualità richiesta dalle imprese per portare avanti un progetto competitivo), andando così ad inficiare quelli che Amartya Sen chiama “ i presupposti stessi dello sviluppo”. Quindi si può sostenere che la lotta per “l" aspirina” è combattuta su due fronti: quello degli studenti e quello del Governo francese, il quale – sostenuto dagli industriali – pensa di risolvere (errando pienamente) i problemi occupazionali puntando tutto sul Cpe.
Si osserva, dunque, un confronto che (come Bolognini sottolinea) è ben lontano dal dipanare la matassa delle problematiche lavorative presenti in Europa, in Francia o in Italia. Ma non bisogna certo ritenere del tutto inutile la protesta dei giovani francesi i quali, anche se non risolveranno – come sperano – i problemi del loro Paese abolendo il Cpe, si pongono, manifestando una presa di coscienza generazionale, in un’ottica realmente democratica con una partecipazione concreta ed una critica doverosa ad un governo che sta promuovendo una politica più vicina alla precarietà che non alla flessibilità (due cose ben diverse tra loro). Entrando precipuamente nel merito di quest"ultima problematica è possibile chiosare che il problema della riforma del mondo del lavoro può essere affrontato in più modalità ed ognuna di esse può essere ricondotta a un diverso modello. Ad esempio Joseph Stiglitz indica agli europei il modello danese, che rappresenta una soluzione a forte flessibilità, ma con assenza di precarietà, in quanto, pur nella mancanza di tutela giuridica contro i licenziamenti, offre un welfare molto generoso e ,allo stesso tempo, severo con quei disoccupati che rifiutano un" offerta di lavoro ( questo per rispondere a possibili interrogativi sull" assistenzialismo). Quindi ,in questo modello, i lavoratori cambiano spesso occupazione, ma non hanno incertezze sul loro futuro, in quanto hanno basi garantite di reddito, le quali allo stesso tempo non producono assistenzialismo (per il rischio legato alla perdita del sussidio).
In questo quadro, il compito della politica è quello di scegliere, in base alla contingenza, le modalità atte a costruire una realtà sociale che non si presenta come stabilita in anticipo, ma ,anzi, è sempre indeterminata nella sua insita complessità.
Nella scelta di questo modello rivolto alla formazione della realtà bisognerà tener conto di valori, analisi e contingenza storica. Luca Bolognini porta avanti un paragone (per un verso istruttivo) anacronistico con i “nonni” dell" attuale generazione che si trovavano ad affrontare tutt" altro problema rispetto al nostro, dovendo ricostruire un Paese ed una ricchezza non solo italiana, ma anche mondiale. Oggi, invece, non si tratta di creare ricchezza, ma, prevalentemente , di redistribuirla, a nazioni, categorie,individui. Il più grande problema della globalizzazione non è la concorrenza, ma è la sperequazione. La concorrenza diventa, oggi, insostenibile in quanto vi è una fortissima sperequazione di potere, una sempre più forte sperequazione economica ed una forte crisi della sovranità statale in tutti quei paesi che non abbiano dimensioni tali da rappresentare buona parte di un continente (Usa , Cina). L"impresa cinese può battere tranquillamente l"impresa veneta, poiche è sottoposta ad una diversa sovranità statale che le permette di produrre a più basso costo e sul mercato internazionale non trova ostacoli insormontabili che la costringano ad adeguare le sue tipologie di produzione ad un unico regolamento internazionale in quanto vi è un ritardo nell"organizzazione del sistema internazionale comportante una sperequazione tra politica e potere reale delle singole realtà sovranazionali(multinazionali,centri di potere,ecc.). Quindi è ravvisabile una tendenza ad uno iato tra potere e politica, ovvero la politica ,da difesa del bene comune regolata mediante regole di diritto condivise, diviene scontro fermo tra poteri mondiali in cui l"unica legge è quella del più forte. Si deve ovviare a tutto questo mediante una serie di risposte situate a vario livello (italiano, europeo e mondiale) volte a restituire alla decisone politica il suo spazio e alla democrazia il suo humus.
Detto ciò, nella pratica, si dovranno riformare i regolamenti e i poteri internazionali, si dovrà creare una comune politica lavorativa europea (previa l" adozione di un unico testo costituzionale per tutta l"Europa) e in Italia (ancor più che in Francia) si dovrà riformare il settore del lavoro introducendo una forma di reddito garantito con una più elevata flessibilizzazione e liberalizzazione (tenendo conto di tutte le indicazioni saggiamente propste da Bolognini nel suo articolo).
Non si dovrà, però, commettere un errore: quello di caricare sulle spalle dei ceti medi e indigenti tutto il costo di una qualunque riforma sociale volta a risolvere le attuali problematiche. Non sarebbe solo un" ingiustizia; sarebbe una follia il pensare di riformare un sistema nazionale in crisi senza ripartire i costi di questa grande riforma equamente all"interno della società. Infatti senza una condivisione, molti non capirebbero e non si schiererebbero a favore di quello che oggi appare come un doveroso cambiamento. E senza consenso di quei molti entrerebbe in crisi l"attuale sistema democratico che si regge prevalentemente sul consenso dato alle politiche portate avanti nel nome della collettività (Giovanni Sartori e Norberto Bobbio). La presente introduzione del precariato, svincolata da ulteriori riforme, muove incontro a questo rischio, eminentemente sociale.
Se si vuole, infine, sperare nella nascita di una neoborghesia si dovrà tenere conto del fatto che la vecchia è nata politicamente in Europa nel 1789 con il seguente motto: “Egualite, liberte, fraternite” e che nessuna “grande” politica è possibile senza una dialettica con i grandi interrogativi “etici” che attanagliano le menti moderne.
Quindi non si dovranno abbandonare le categorie di giusto ed ingiusto, si dovranno problematizzare, altrimenti, si continuerà nel grande errore della liberaldemocrazia: il non essere riuscita a sostituire all "ideologia la discussione sui valori.Tutto questo oggi si palesa in quel distacco dalla politica il quale, in democrazia, si traduce nella fine della stessa.

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