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Public Policy

Morsa finanziaria che penalizza gli enti locali

Province: tra falce e martello

Necessaria una ridefinizione del ruolo per un soggetto che può tornare efficiente

di Angelo Romano - 17 ottobre 2006

571 milioni di euro. A tanto ammonta la stretta della Finanziaria sulle province italiane. Una stretta sperequata, che penalizza gli enti più virtuosi e quelli che hanno effettuato gli investimenti più elevati negli ultimi anni. Milano – che è tra le più penalizzate – già pensa a dar vita alla Città metropolitana per uscire dalla stretta strozzaprovince. Un paradosso nel paradosso quello di dar vita ad un ulteriore ente, non per scelta politica, ma per sfuggire alla Finanziaria.
D’altro canto alle province non resta che tagliare le spese, visto che i loro gettiti autonomi – addizionali sul consumo di energia e sulle trascrizioni automobilistiche, derivano essenzialmente da fattori di sviluppo del territorio, piuttosto che dall’azione delle amministrazioni.
Del problema se ne dibatterà nell’assise delle province italiane in corso a Milano.
Eppure proprio l’emergere di tanti paradossi e, negli anni scorsi, di ampi dibattiti sulla loro utilità, dovrebbe indurre le province, il legislatore ed il governo – posto che mai, questi ultimi, riescano ad affrontare il nodo delle riforme – a metter mano alla ridefinizione del ruolo delle province.
Oggi, tali enti, hanno competenze sbocconcellate e persino diverse tra loro, accumulatesi per “concessioni” statali o regionali. Nessuna norma, infatti, impone alle regioni di delegare alle province le stesse competenze e, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, attualmente vigente e in attesa di riforma, ogni regione può, a suo arbitrio, decidere di delegare alle province quel che più le aggrada. Si tratta dell’anticamera di una Babele istituzionale facilmente prevedibile ed in parte già in atto. Per altri versi, è emerso da numerose indagini, succedutesi negli ultimi anni, che la percezione della “presenza” delle province è poco sentita dai cittadini, quando non ritenuta inutile.
In quale direzione riformarle? Come renderle enti efficaci ed efficienti in grado di promuovere visibilmente lo sviluppo del territorio e delle comunità rappresentate?
Un’ipotesi concreta - e coerente con il loro ruolo di enti intermedi tra regioni e comuni - sarebbe quella di renderle promotrici e gestrici delle reti infrastrutturali, materiali ed immateriali, di area vasta. E’ di tutta evidenza che un edificio scolastico è solo una scuola, ma tutte le scuole di un territorio possono costituire una rete capillare di promozione civile e culturale, oltre che educativa. Ogni comune effettua i suoi acquisti, i suoi appalti ed i suoi contratti, ma se vi fosse un ente “ottimizzatore” della spesa, in grado di far pesare su prezzi e tariffe una massa di domanda associata, i risparmi ottenuti sarebbero a beneficio dei cittadini. I piccoli comuni potrebbero avvalersi del know-how e di procedure ottimizzate, che da soli non potrebbero mai finanziarsi, lo stesso marketing territoriale si avvantaggerebbe molto di un coordinamento delle iniziative di promozione e comunicazione. D’altro canto la globalizzazione richiede concentrazione per competere meglio, questo vale anche per la competizione tra istituzioni e tra territori.

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