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Bruxelles: contraddizioni tra dentro e fuori

Protezionismo dalla protezionista Ue

Politica comune sul fronte dei cambi e sulla reciprocità. Invece solo autoreferenzialità

di Davide Giacalone - 24 marzo 2006

L’Unione Europea si pronuncia contro il protezionismo, e vara misure protezioniste. In un solo giorno, in una sola sede. Verso l’esterno, verso i produttori cinesi e vietnamiti di scarpe, vara il protezionismo, usando lo strumento dei dazi doganali. Serviranno a poco.
Se date uno sguardo ai piedi dei ragazzi europei sarà facile prendere atto che non sono minimamente toccati dall’italica polemica fra Tod’s e Clark’s, perché tanto sono calzati dall’oriente asiatico. La scelta di moltissimi di questi giovani non è stata orientata dal prezzo particolarmente conveniente, ma dal marchio, dalla forma, dal colore di scarpe che dovrebbero servire allo sport e che non sono affatto poco costose. Su queste scarpe si può mettere un bel dazio, con il solo risultato di aumentare la spesa del consumatore e far crescere gli incassi pubblici. Una tassa sulle scarpe, insomma.
Poi ci sono le produzioni asiatiche di scarpe non griffate, di imitazioni, di calzature a bassissimo prezzo. Normalmente le si può trovare sulle bancarelle dei mercati rionali od ambulanti. Mettiamo i dazi e che otterremo? Pensate che la gente interessata a quei prodotti, guidata solo e soltanto dalla convenienza, smetta di acquistarli e passi a dare un’occhiata alle vetrine del centro? Bisogna essere stolti e viziati assai, per credere una cosa simile.
E allora, niente da fare, dobbiamo star fermi a farci invadere? No, una buona politica può farsi sia sul fronte dei cambi, facendo pressione su monete abbondantemente sottovalutate, sia sul fronte della qualità dichiarata, impedendo (non tassando) le importazioni di merci la cui composizione dichiarata e diversa da quella reale. E può farsi una buona politica della reciprocità, perché gli italiani interessati alle scarpe cinesi a basso prezzo sono meno numerosi dei cinesi cui si potrebbero calzare le costosissime babbucce con i pirulini.
La dichiarazione antiprotezionista, invece, era tutta in chiave interna all’Unione, ed oltre ad essere autoreferente era anche declamatoria. L’Unione è il più grande mercato del mondo, se solo fosse un mercato, un unico mercato. I campioni europei sarebbero fra i più potenti nel mondo, se solo fossero europei, e non proiezioni allargate di quelli nazionali. Se L’Europa fosse realmente Unione avrebbe un peso politico enorme, e non sarebbe il nano gracile che è. Queste cose le sanno tutte le persone non sprovvedute, ma ciascuno preferisce non dirle agli elettori di casa propria. Come potrebbe dirle Chirac, che ha gli studenti in piazza contro un minimo di elasticità contrattuale, ed ancora qualche settimana fa aveva la Francia tappezzata di manifesti contro gli idraulici polacchi? Ma anche per la Francia, c’è speranza. In quel di Bruxelles, infatti, a Consiglio d’Europa riunito, ha preso la parola Ernest-Antoine Seillière, imprenditore francese e presidente degli imprenditori europei. Ha cominciato a parlare, chiedendo liberalizzazioni, aperture, concorrenza, libertà, dicendo chiaramente che il protezionismo è una malattia all’ombra della quale crescono altre malattie. Chirac la prende male e gli chiede pubblicamente conto di un oltraggio linguistico: perché tu, francese, stai parlando in inglese? Perché, risponde l’altro, sto parlando a nome di un’organizzazione, l’Unice, la cui lingua è l’inglese, che è anche la lingua degli affari. Il gallico presidente abbandona l’aula con le orecchie indolenzite, per protesta. Ma la lingua c’entra poco, quel che lo irritava era il contenuto.
Ah, se anche da noi qualcuno prendesse il gusto di dir le cose come stanno, senza ammorbarci di concertazioni, armonie, squadre ed altre bubbole simili.

www.davidegiacalone.it

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