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Gli appuntamenti del Paese sono con se stesso

Prodi: governo appesantito e clonato

Al premier il compito di una guida e una sintesi sulle decisioni che segneranno l’Italia

di Alessandra Servidori - 24 maggio 2006

Come gli anni ’90? Il terrorismo economico sulle sorti del nostro paese corre sul filo del Governo Prodi a poche ore dalla fiducia del Parlamento: quasi si volesse evocare la tragedia per distogliere la reale preoccupazione degli italiani di fronte ad una mastodontica macchina politica che si ingessa di giorno in giorno. Il Governo si clona e si appesantisce di un esercito di ministri, vice ministri, sottosegretari, responsabili di dipartimenti ecc.. ecc… accalcati sugli scranni istituzionali, con deleghe frazionate, triplicate, sovrapposte. Tutti che si occupano di tutto. E si scopre adesso che non c’è stabilità sui conti pubblici? E tutto forse per giustificare un eventuale prelievo forzoso sui depositi bancari come fu fatto nel 1992 da Amato? Oppure una Legge Finanziaria di 50 milioni di euro che possa fare il paio con quella di allora di 90 mila miliardi di lire ? Ma Prodi e compagnia non si possono dimenticare le quattro grandi deleghe sulla sanità, enti locali, previdenza e pubblico impiego che dovevano accompagnare il risanamento del bilancio e che passarono tutte e quattro con la fiducia, compreso l’accordo sulla politica dei redditi sottoscritto con coraggio da Bruno Trentin. Il governo Berlusconi ha onorato le grandi riforme: previdenza ,scuola, lavoro sono quelle che ora i ministri ulivisti promettono di azzerare e l’Italia governata tra minacce e statalismo come può affrontare con una compagine governativa peronista una moneta unica e una competizione serratissima che impone riforme strutturali profonde?
Ma la soluzione non è uno Stato che si sostituisce ai privati mettendosi a scommettere su progetti industriali e a promuovere alleanze tra imprese. Sono concetti condivisibilissimi di Francesco Giavazzi e Sergio Romano, che dalle pagine del Corriere della Sera di questi giorni scoprono la deriva statalista del “Nuovo corso” Prodiano. Il gotha economista dell’ammiraglia dei quotidiani si interroga, preoccupato, sulle tentazioni stataliste e dirigistiche del governo Prodi e del team cui è affidata la politica economica. E intanto preceduto dalla Stampa con un intervento dell’illuminato Walter Veltroni, nei giorni scorsi, il quotidiano di via Solferino era sceso direttamente in campo, con un editoriale del vice direttore Dario Di Vico, in difesa di Marco Biagi e della legge che porta il suo nome, la quale (lo ha ribadito Prodi nelle dichiarazioni programmatiche) resta nel mirino – sia pure con toni e accenti diversi – della maggioranza e dell"esecutivo. Anche nei sancta sanctorum delle istituzioni economiche e dei “poteri forti” serpeggia una certa inquietudine che, per adesso, trova espressione in qualche felpata dichiarazione, in attesa dell"assemblea della Confindustria (domani 25 maggio) e della lettura delle prime Considerazioni conclusive del Governatore Mario Draghi (il 30 maggio). In sostanza, sembra di capire che l"establishment (lo stesso che alle elezioni politiche ha tifato per il centro-sinistra come se non ne avesse letto il programma e non ne conoscesse il dna) non sia soddisfatto dell"esordio del nuovo Governo. Certo, nell"esecutivo sono presenti, in dicasteri chiave, personalità di notevole spessore; ma saranno guardate a vista da una pletora di sottosegretari col ruolo di “commissari politici”. La ciliegina sulla torta poi è poi messa sempre dal Corriere della Sera, con critica feroce alle tre ministre Bindi, Bonino, Turco definite irriverentemente “zapatere” perché hanno “osato” esprimere pareri e idee sulle politiche sociali a loro affidate dalle deleghe. Certo si sono già sentite molte parole in libertà ( a onor del vero soprattutto dai ministri maschi - Pecoraio Scanio , Mastella, Di Pietro, nonché arroganze ancor più pesanti nei confronti del papa dal Presidente della Camera Bertinotti e dal segretario Diliberto-) e si ha l"impressione che la compagine di governo non si preoccupi affatto di “fare squadra”, ma che ciascuno preferisca sventolare la bandierina della propria identità. Stanno, infatti, emergendo notevoli discrepanze tra i ministri su parecchie questioni cruciali. Le opere pubbliche, innanzi tutto. Non solo perché il Governo ha proceduto ad uno “spacchettamento” delle competenze, creando indubbiamente confusione e ritardi, ma soprattutto perché sono venuti alla ribalta approcci culturali ostili tout court ad una politica di potenziamento delle infrastrutture. Si prenda il caso del neo ministro dei Trasporti, il quale non ha perso tempo a cancellare con una battuta (provocando l"irritazione di Antonio Di Pietro) il ponte sullo Stretto di Messina. Anche la riforma delle pensioni sarà rivista, mentre le politiche di welfare sono state ripartite tra ben quattro ministri. Se dura così non basterà esibire Tommaso Padoa Schioppa, a Bruxelles, per essere credibili poiché lo stesso, in queste ultime ore, su eventuali conteggi e manovre finanziarie è redarguito e guardato a vista dai “mastini bersaniani”. Qualcuno invoca la pace e il dialogo tra maggioranza e opposizione e qualcuno pensa che sia doveroso “lasciare” al premier Prodi il compito di una guida e di una sintesi su temi e decisioni che segneranno le sorti del nostro Paese: appare più come un tragico destino che una ragionevole soluzione.

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