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Un caso scottante, è il momento di decidere

Prodi dica la sua su Autostrade

Il Presidente del Consiglio ricordi cosa disse nel ’97. E ponga un freno a Di Pietro

di Enrico Cisnetto - 01 dicembre 2006

Signor Presidente del Consiglio, credo proprio che ci sia bisogno di un suo deciso intervento, perchè il “caso Autostrade” – che ha assunto i connotati di un vero e proprio “affaire” – sta superando i limiti della sopportabilità e della decenza, a causa di un ormai quotidiano balletto di dichiarazioni, che fanno da degno corollario ad una vicenda che sta esaurendo le residue riserve di credibilità dell’Italia sulla scena europea e sta mettendo a seria prova la capacità di resistenza della nostra imprenditoria (che avrà tanti difetti, ma non ha certo bisogno di buoni motivi per investire altrove).
La storia la conosciamo: Autostrade ha deciso di fondersi con la spagnola Abertis, e di fronte a questa operazione di mercato il Governo non ha trovato né il coraggio di dire subito e con chiarezza che quel matrimonio non s’aveva a che fare, né la lungimiranza di trattare la cosa a livello politico con la Spagna per trovare nello logica dello scambio la reciproca convenienza dei due sistemi-paese. Ha preferito invece traccheggiare per molti mesi, tra dichiarazioni pubbliche e trattative private – e chi meglio di Lei, che è stato manager, sa cosa questo significhi per due società quotate in Borsa – per poi assumere una decisione, quella che vietava la presenza nel capitale delle concessionarie autostradali di costruttori in potenziale conflitto d’interessi, che Bruxelles Vi ha immediatamente costretto a cancellare. Così il ministro Di Pietro – che evidentemente ritiene di dover esercitare la sua funzione con gli stessi metodi che gli furono propri quando era un magistrato “famoso” – si è trovato “costretto” a trovare un altro strumento con cui far sgambetto alla fusione Autostrade-Abertis, ed ha scelto il famigerato articolo 12 del decreto collegato alla Finanziaria. Il quale impedisce di fatto quella fusione, perchè altera sensibilmente il valore di Autostrade (come di tutte le altre concessionarie del settore), andando a modificare unilateralmente i rapporti contrattuali a suo tempo stipulati dallo Stato.
A questo proposito, professor Prodi, Le rammento quanto Lei stesso ebbe a scrivere, nella sua veste di presidente del Consiglio, il 14 febbraio del 1997 in una comunicazione all’allora presidente della Camera, Luciano Violante, che chiedeva lumi in merito alla privatizzazione di Autostrade: “la necessità della previa istituzione di un’autorità di settore sussiste solo quando si intende inserire nello statuto della società da dismettere una clausola attributiva allo Stato di poteri speciali”. Se le parole hanno un senso, Lei diceva che in questo caso non c’era bisogno di una specifica authority perchè lo Stato intendeva rinunciare ad ogni diritto futuro. E se così è poi successivamente accaduto, come si può ora rivendicare potestà che non sussistono per la esplicita volontà – magari anche sbagliata, ma nel caso bisogna pensarci allora – dello Stato stesso? Tanto più – e qui è un fatto di buon gusto, puramente estetico – che allora come oggi a palazzo Chigi siede la stessa persona.
Dunque, signor Presidente, non sarebbe meglio chiamare il ministro Di Pietro e dirgli di smetterla nell’esporLa a così clamorose contraddizioni? Tanto più che, come potranno dirLe i ministri Bonino e D’Alema, è assai probabile, per non dire certo – e poi, via, chi meglio di Lei lo sa – che la Ue si pronunci per la seconda volta in termini negativi, facendo fare al suo Governo e al Paese l’ennesima brutta figura. Come peraltro dimostra la recente sentenza del Tar del Lazio, che da pienamente ragione ad Autostrade. Perchè, se Le fosse sfuggito, il buon Tonino ci sta andando giù duro: scorrendo le agenzie degli ultimi giorni, le dichiarazioni del ministro delle Infrastrutture vanno da “Abertis mi dovrebbe ringraziare perchè così sa cosa compra” a “voglio una fidejussione di 2,5 miliardi per i lavori non fatti”, da “la diffida dell’Anas sul dividendo è partita da me” a “modifiche solo di forma sull’articolo 12”. Senza contare la discrezionalità che Di Pietro rivendica sui pedaggi, il cui adeguamento è previsto da apposite norme ma che lui si ostina a definire “non automatico”. Finora Lei, dopo qualche borbottio iniziale, è rimasto in un silenzio che qualcuno interpreta come “copertura” a Di Pietro e altri come desiderio di non avere (ulteriori) problemi di coalizione. Comunque sia, il silenzio è durato fin troppo, è ora che il presidente del Consiglio si assuma le sue responsabilità.

Pubblicato sul Foglio del 1° dicembre 2006

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