Tra deficit e Irap, ora il governo è nei guai
Processati dall’Europa
Stavolta l’Ue ci mette sotto accusa. Ma la tecno-burocrazia di Bruxelles ha le sue colpedi Enrico Cisnetto - 08 giugno 2005
Un doppio fallimento. Di fronte alla decisione della Commissione europea di avviare una procedura contro l’Italia per deficit eccessivo, non si può fare a meno di estrarre un doppio cartellino rosso: uno per noi stessi, che dopo aver fatto spallucce e giurato che mai Bruxelles avrebbe osato fare questo passo, ci ritroviamo (giustamente) sanzionati; ma l’altro per quella stessa Europa che punisce i nostri conti pubblici, incapace com’è di andar oltre il ruolo di giudice occhiuto, tipico delle buro-tecnocrazie, nonostante sia stata appena condannata dal voto francese e olandese contro il Trattato costituzionale.
Partiamo dalle colpe italiane. Esse vengono da lontano, e più precisamente da due scelte. La prima è stata quella del centro-sinistra, nella scorsa legislatura, di considerare strutturale il risanamento della finanza pubblica a suo tempo realizzato per poter entrare nell’euro, mentre si era trattato di interventi congiunturalmente efficaci ma per questo bisognosi di una fase due di riforme di tipo strategico. La seconda è stata quella del centro-destra, che nel 2001 ha preferito non dire la verità al Paese, nella (infondata) speranza che una politica di una tantum avrebbe consentito di attendere l’agognata ripresa, grazie alla quale tutto sarebbe andato a posto. Così, il processo di riduzione di deficit e debito prima si è fermato, poi si è addirittura invertito, come dimostra il peggioramento dell’avanzo primario, tanto che l’Ocse prevede per noi un rapporto deficit-pil del 4,4% nel 2005 e del 5,1% nel 2006, cioè ben oltre anche la soglia “elasticizzata” del patto di stabilità.
Inevitabile, dunque, tanto più dopo le correzioni apportate ai bilanci pubblici degli anni scorsi da Eurostat, che arrivasse questa decisione, contro la quale non sono bastati né gli esorcismi di Berlusconi né i faticosi tentativi di diplomazia del sorriso verso la Commissione da parte di Siniscalco. E ora è inutile prendersela con il commissario Almunia, come ieri con Solbes (sempre spagnoli le nostre “bestie nere”): chiunque al loro posto non avrebbe potuto fare diversamente.
E qui veniamo ad un altro motivo per cui l’Italia merita il cartellino rosso: l’incapacità di avere peso in Europa. E anche qui le colpe sono bipartisan. Infatti, da un lato c’è la politica estera del governo Berlusconi, che non ha certo badato alla costruzione di quella rete di relazioni all’interno dell’Europa, indispensabile per metterci al riparo dagli interessi altrui. Spesso il governo ha fatto riferimento a forze “ostili”: non sbaglia, ma compito di una classe dirigente è saper tutelare gli interessi nazionali, non imprecare contro quelli altrui. Noi non abbiamo conquistato Bruxelles, come per l’appunto gli spagnoli, né abbiamo spinto per l’unificazione politico-istituzionale dell’Europa. Cosa che, dall’altro lato, non ha fatto neppure Prodi, che pure per cinque anni è stato presidente della Commissione, sprecando un’occasione decisiva sia per l’Europa che per l’Italia.
Tuttavia, non meno gravi sono le colpe dell’Europa. Ad oggi Bruxelles è riuscita a caratterizzarsi solo come soggetto stupidamente vessatorio e burocraticamente ingombrante, incapace di esprimere una politica economica e industriale comune. Più un vincolo che una opportunità, insomma. E non è un caso che il doppio no franco-olandese possa essere interpretato in modo ambivalente per “troppa” Europa e per “troppo poca”. Sono entrambe fondate: l’Europa è nello stesso tempo opprimente ed evanescente. E le sue classi devono capire che per affrontare i passaggi epocali che ci attendono non si può scendere a compromessi: o si va avanti o si torna indietro. Riproporre meccanicamente il patto di stabilità, magari con qualche aggiustamento un po’ ipocrita, non ci porta da nessuna parte. Tanto più se, come ha detto la stessa Commissione, quasi tutti i Paesi hanno problemi di bilancio.
Detto questo, l’Italia deve prendere atto che il fallimento delle sue politiche di bilancio e insieme del processo di creazione degli Stati Uniti d’Europa rappresentano un doppio colpo esiziale. Se Bruxelles ci chiede di rientrare al 2,7% del deficit sul pil in un anno in cui la crescita potrebbe essere addirittura negativa, o comunque a zero, non possiamo semplicemente rispondere rivendicando la nostra autonomia come è stato costretto a fare ieri il povero Siniscalco. Tanto più mentre stiamo dicendo che rinunceremo ad una parte consistente del gettito Irap (che copre una fetta importante della spesa sanitaria) senza aver ancora deciso come lo si sostituisce.
Pubblicato sul Messaggero dell'8 giugno 2005
Partiamo dalle colpe italiane. Esse vengono da lontano, e più precisamente da due scelte. La prima è stata quella del centro-sinistra, nella scorsa legislatura, di considerare strutturale il risanamento della finanza pubblica a suo tempo realizzato per poter entrare nell’euro, mentre si era trattato di interventi congiunturalmente efficaci ma per questo bisognosi di una fase due di riforme di tipo strategico. La seconda è stata quella del centro-destra, che nel 2001 ha preferito non dire la verità al Paese, nella (infondata) speranza che una politica di una tantum avrebbe consentito di attendere l’agognata ripresa, grazie alla quale tutto sarebbe andato a posto. Così, il processo di riduzione di deficit e debito prima si è fermato, poi si è addirittura invertito, come dimostra il peggioramento dell’avanzo primario, tanto che l’Ocse prevede per noi un rapporto deficit-pil del 4,4% nel 2005 e del 5,1% nel 2006, cioè ben oltre anche la soglia “elasticizzata” del patto di stabilità.
Inevitabile, dunque, tanto più dopo le correzioni apportate ai bilanci pubblici degli anni scorsi da Eurostat, che arrivasse questa decisione, contro la quale non sono bastati né gli esorcismi di Berlusconi né i faticosi tentativi di diplomazia del sorriso verso la Commissione da parte di Siniscalco. E ora è inutile prendersela con il commissario Almunia, come ieri con Solbes (sempre spagnoli le nostre “bestie nere”): chiunque al loro posto non avrebbe potuto fare diversamente.
E qui veniamo ad un altro motivo per cui l’Italia merita il cartellino rosso: l’incapacità di avere peso in Europa. E anche qui le colpe sono bipartisan. Infatti, da un lato c’è la politica estera del governo Berlusconi, che non ha certo badato alla costruzione di quella rete di relazioni all’interno dell’Europa, indispensabile per metterci al riparo dagli interessi altrui. Spesso il governo ha fatto riferimento a forze “ostili”: non sbaglia, ma compito di una classe dirigente è saper tutelare gli interessi nazionali, non imprecare contro quelli altrui. Noi non abbiamo conquistato Bruxelles, come per l’appunto gli spagnoli, né abbiamo spinto per l’unificazione politico-istituzionale dell’Europa. Cosa che, dall’altro lato, non ha fatto neppure Prodi, che pure per cinque anni è stato presidente della Commissione, sprecando un’occasione decisiva sia per l’Europa che per l’Italia.
Tuttavia, non meno gravi sono le colpe dell’Europa. Ad oggi Bruxelles è riuscita a caratterizzarsi solo come soggetto stupidamente vessatorio e burocraticamente ingombrante, incapace di esprimere una politica economica e industriale comune. Più un vincolo che una opportunità, insomma. E non è un caso che il doppio no franco-olandese possa essere interpretato in modo ambivalente per “troppa” Europa e per “troppo poca”. Sono entrambe fondate: l’Europa è nello stesso tempo opprimente ed evanescente. E le sue classi devono capire che per affrontare i passaggi epocali che ci attendono non si può scendere a compromessi: o si va avanti o si torna indietro. Riproporre meccanicamente il patto di stabilità, magari con qualche aggiustamento un po’ ipocrita, non ci porta da nessuna parte. Tanto più se, come ha detto la stessa Commissione, quasi tutti i Paesi hanno problemi di bilancio.
Detto questo, l’Italia deve prendere atto che il fallimento delle sue politiche di bilancio e insieme del processo di creazione degli Stati Uniti d’Europa rappresentano un doppio colpo esiziale. Se Bruxelles ci chiede di rientrare al 2,7% del deficit sul pil in un anno in cui la crescita potrebbe essere addirittura negativa, o comunque a zero, non possiamo semplicemente rispondere rivendicando la nostra autonomia come è stato costretto a fare ieri il povero Siniscalco. Tanto più mentre stiamo dicendo che rinunceremo ad una parte consistente del gettito Irap (che copre una fetta importante della spesa sanitaria) senza aver ancora deciso come lo si sostituisce.
Pubblicato sul Messaggero dell'8 giugno 2005
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.