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Public Policy

Debito e patrimonio

Pragmatismo

Consigli economici per un Monti politico fintanto che i partiti parlano di aria fritta

di Enrico Cisnetto - 21 dicembre 2012

Da un lato il debito pubblico, che a ottobre ha toccato la cifra record di 14 miliardi oltre la fatidica soglia dei duemila. Il ritmo di crescita è di 6 miliardi al mese, il 3,7% l’anno. Vedremo quanto sarà a esattamente a fine 2012, ma considerato che la ricchezza prodotta è scesa del 2,4%, è facile immaginare che il rapporto debito-pil arrivi al 127%. A conferma che non basta l’avanzo primario, perché il costo del debito stesso (quest’anno arriveremo a 86 miliardi, per salire fino a 105 miliardi nel 2015) genera nuovo debito in una perversa spirale senza fine che rappresenta il vero spread che ci separa dagli altri paesi.

Dall’altro lato, c’è il patrimonio accumulato dagli italiani: 9.500 miliardi, che al netto delle passività finanziarie (900 miliardi), diventano 8.600 miliardi, di cui 5.000 in immobili. Quest’ultima è una cifra ipotetica, visto che oggi il mercato immobiliare è fermo e chi dovesse vendere fatica a realizzare. E poi le famiglie italiane, che nell’85% dei casi vivono in una casa di proprietà, fanno notoriamente fatica a immaginare di doversi staccare dal mattone. Ma anche se si considerano “solo” i 3.600 miliardi di attività finanziarie nette, è del tutto evidente che si tratta di quasi il doppio dell’intero ammontare del debito pubblico. Il quale, in realtà, andrebbe “semplicemente” ridotto a due cifre, sotto il 100% del pil. A oggi si tratterebbe di 450 miliardi, cioè il 12,5% della “liquidità” degli italiani. Ai quali, sia chiaro, quella cifra non deve essere sottratta con una ingiusta tassa patrimoniale, ma “chiesta” in cambio di un buon rendimento, leggermente migliore di quello medio di mercato. Come? L’ho già detto più volte, ma in questa fase di redigendo notes programmatico di Monti vale la pena ripeterlo.

Schematicamente, occorre: intestare ad una società veicolo da quotare in Borsa i 640 miliardi di patrimonio pubblico in immobili e terreni che il Tesoro stima siano la parte meglio valorizzabile del totale degli attivi; obbligare i detentori di patrimonio privato, oltre una certa soglia (prima casa esclusa) e con percentuali progressive, a sottoscrivere i titoli della quotanda; del ricavato, i due terzi vanno utilizzati a detrazione del debito e un terzo allo sviluppo. A questi ultimi vanno aggiunti i risparmi derivanti dalla riduzione della spesa pubblica corrente di almeno di sette punti (dal 52% al 45%, attraverso una decisa semplificazione del decentramento, compreso il taglio di posti di lavoro nella pubblica amministrazione, e un intervento radicale sulla sanità). Risorse che andranno utilizzate in tre modi. Primo: per investimenti in conto capitale, da concentrare sia sulle grandi infrastrutture materiali e immateriali che servono al Paese per modernizzarsi, sia per costruire e rafforzare la presenza del nostro capitalismo in alcuni settori strategici ad alta intensità di “capitale-tecnologia-innovazione” e che richiedono grandi dimensioni. Secondo: per ridurre la pressione fiscale su imprese e lavoro. Terzo: per pagare i debiti delle pubbliche amministrazioni con le aziende. Insomma, una grande operazione che ho definito di stampo “liberal-keynesiano”, senza considerarlo un ossimoro. Credo, infatti, che questo sia il tempo di un sano pragmatismo – che superi la contraddizione di un paese che nei fatti è rimasto statalista e assistenzialista ma ideologicamente ha sposato (anche a sinistra) il pensiero unico liberista – grazie al quale trovino spazio, da un lato, sia l’abbattimento del debito che la riduzione della spesa pubblica corrente, ma dall’altro una forte iniziativa pubblica (investimenti, non domanda) e un significativo cambio nel sistema di welfare (salario minimo garantito al posto della cassa integrazione).

Ecco, questo dovrebbe essere a mio avviso il canovaccio del lavoro da fare nella prossima legislatura, se si vuole davvero evitare che il declino diventi catastrofe. Anche perché, ed è ciò che fa più rabbia, le risorse, pubbliche e private, ci sono. Solo che nessuno, finora, ha saputo interconnetterle in modo positivo. Nodi cruciali su cui si vorrebbero sentire proposte e sui quali piacerebbe che s’incentrasse l’ormai cominciata campagna elettorale. Peccato, invece, che le forze politiche, vecchie e nuove, abbiano l’encefalogramma piatto, e preferiscano parlare di improbabili tagli di tasse o evocare generiche politiche redistributive in nome dell’equità (scambiata per collettiva povertà). Proprio per questo Monti, dimenticando ciò che ha fatto in questo anno di governo, deve essere il propositore di questa linea “liberal-keynesiana”. Sia perché il paese ne ha estremo e urgente bisogno, e non può certo accontentarsi della linea minimalista che il ministro Grilli è andato ad esporre negli Stati Uniti (un piano di dismissioni del valore dell’1% del pil ogni anno). E sia perché questo è l’unico modo – che il Professore si candidi o non si candidi – che Monti ha di sparigliare i giochi del centro-sinistra e del centro-destra, che si accingono per l’ennesima volta in venti anni a recitare il solito copione delle promesse sbagliate e non mantenibili.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.