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La lapidazione del diritto

Pozzi avvelenati

Il processo è la sede in cui, seguendo la procedura, si accerta la possibilità di provare una responsabilità penale

di Davide Giacalone - 07 ottobre 2011

Anni di giustizialismo e lapidazione del diritto hanno avvelenato i pozzi della cultura e della civiltà. La degradazione è ad un livello così drammatico che è potuta giungere sulla prima pagina del Corriere della Sera, a firma di Andrea Balzanetti, l’assurda identificazione fra la verità e la verità processuale, con una regressione da tribunale iraniano. Leggo è tremo, per quanto profondo è il pozzo oscurantista nel quale il conformismo biascicante ci ha precipitati. E’ un punto dirimente, un pericolo cui occorre opporsi con determinazione.

E’ capitato che il presidente della Corte d’assise d’appello di Perugia abbia rilasciato delle dichiarazioni, circa un processo appena conclusosi (il caso specifico non conta). Ha sbagliato: il dispositivo della sentenza, da lui letto, stabilisce in novanta giorni il termine per il deposito della motivazione, cerchi di rispettarlo, al contrario di quel che fanno tanti suoi colleghi. Ma ha detto una cosa che più che giusta è ovvia: nel corso di un processo si accerta la verità processuale, ovvero se esistono le prove per potere condannare, al di là di ogni ragionevole dubbio, un imputato, è naturale che la verità possa essere diversa, sia in caso di assoluzione che di condanna, ma in giudizio non si hanno gli strumenti per dedicarsi alla ricerca della verità assoluta. Concetto religioso, o filosofico, in ogni caso non amministrabile in tribunale. Il fatto che il Corriere si scandalizzi, supponendo che in questo modo il giudice metta in dubbio quel che ha sentenziato, è a sua volta scandaloso, perché dimostra quanto si sia smarrita la cultura del diritto.

Ciò ha plurime implicazioni, e spiega molto di un enorme problema che dobbiamo avere il coraggio di affrontare: la sovrapposizione fra giustizia e politica, storia, vita civile. Se lo scandalizzarsi del Corriere avesse fondamento ecco che dovremmo scrivere la storia a partire dalle sentenze, fonte di verità. Ma è una boiata. Per la bomba alla stazione di Bologna c’è una sentenza passata in giudicato, una verità processuale, ma sappiamo che non risponde alla verità storica, è una sentenza sbagliata. Ci sono gli strumenti giuridici per rivederla, ma nell’attesa (e anche se non accadesse mai) non sono affatto tenuto a costruire storia e politica sull’errore. Mentre i condannati, naturalmente, sono tenuti a scontare la pena. Posso considerare esistenti i contatti fra certi mafiosi e la corrente andreottiana in Sicilia, anche se Giulio Andreotti non è stato condannato. Questo perché le sentenze sono verità processuale, non storia. Sono pezzi di storia, non la sua narrazione.

Solo rincretinendosi con il giustizialismo si può far confusione, scivolando verso la giustizia a base teocratica. Vogliamo fare esempi d’immediato impatto? Eccolo: Silvio Berlusconi è protagonista di una condotta personale non coerente con la carica che ricopre. Vogliamo dirlo in modo più volgare? Eccoci: s’è circondato di mondane. Questo rimane, ed è offerto al giudizio dei cittadini e degli elettori, anche in assenza di sentenze. Ma se, per rendere veramente vero quel fatto, inseguo disperatamente una sentenza che ne inchiodi l’indugiare alla crapula, mettendo in campo anni d’indagini, da Noemi in poi, disponendo centinaia di migliaia d’intercettazioni, innescando procedimenti per ogni dove, sempre disperatamente cercando la sentenza che certifichi il vero, ecco che ho condotto la giustizia in un pantano dal quale non saprà più uscire. E per essere sicuro che ci affoghi procedo a definire venduti quelli che si appellano alla legge e alle regole, dando la patente di “giusti” a quanti, invece, in barba alle regole reclamano la condanna. E’ esattamente questa la trappola oscurantista nella quale il Corriere ha messo così voluttuosamente i piedi.

Il processo non è mai il luogo ove la verità storica si separa dalla leggenda e dal pregiudizio, è solo la sede in cui si accerta, seguendo scrupolosamente la procedura, perché solo questa ne garantisce la regolarità, la possibilità di provare una responsabilità penale, separando un cittadino presunto innocente dalla sua libertà e onestà. Il resto non è roba medioevale, ma solo perché il medio evo era assai più civile di tanta ignoranza che ci circonda.

Pubblicato da Libero

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