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Medio Oriente: il punto di vista di D’Alema

Politica estera e rischio di attentati

La posizione del Vicepresidente del Consiglio è controversa. Occorre un segnale del governo

di Davide Giacalone - 22 dicembre 2006

D’Alema cambia rotta, modifica la sua posizione sui temi cruciali del medio oriente, e quel che si vorrebbe sapere è se si tratta di una scelta del governo, di una riflessione maturata dopo avere valutato gli errori commessi, o se si tratta del solo spazio possibile per rendersi visibili a Natale, pronti a ricambiare con le stagioni a venire. Non è un quesito inventato per alimentare la polemica, ma di una questione che attiene direttamente alla nostra sicurezza, oltre che alla nostra dignità internazionale.
D’Alema ha incontrato Abu Mazen, il presidente palestinese impegnato nel tentativo di spezzare la maggioranza che Hamas (emanazione religiosa e terroristica dei Fratelli Musulmani) ha conquistato alle scorse elezioni, convocandone di nuove. Il clima è rovente, e la volontà di Mazen, oltre a provocare reazioni violente da parte di Hamas, alimenta la speranza che si possa riprendere il dialogo di pace con Israele. D’Alema lo incontra, lo incoraggia, ed aggiunge “noi non siamo interlocutori di Hamas”. Bene, ma di questo sarebbe stato meglio ricordarsi quando Sharon ritirava unilateralmente le truppe dai territori occupati, e per tutta risposta Hamas soffiava sul fuoco degli attentati suicidi, destinati, fra l’altro, a rendere più forte la reazione negativa di una parte degli israeliani. In quel frangente, invece, si è inutilmente, stucchevolmente ed anche vigliaccamente polemizzato sul muro che Israele stava erigendo fra sé ed i terroristi. Inoltre, benché sia già qualche cosa dirsi non interlocutori di Hamas, il ministro degli esteri italiano dovrebbe ricordare che Israele è uno stato legittimo, che ha diritto alla sicurezza, e che è anche un testimone di libertà e democrazia in una terra difficile, motivi per cui non solo non si potrà mai essere interlocutori, ma si dovrà essere nemici di chi non ne riconosce neanche il diritto all’esistenza. Hamas, appunto, non riconosce Israele. Devo essermi distratto, ma non ricordo la condanna per questo gravissimo atteggiamento.
D’Alema ha anche visitato le truppe italiane in Libano, portando loro il saluto e la gratitudine del governo Libanese, dicendosene orgoglioso, e sottolineando che i libanesi hanno diritto al tribunale internazionale che accerti e giudichi gli assassini dell’ex premier, Rafik Hariri. Belle parole, ma si dà il caso che contro il governo, contro il Parlamento, in Libano, e contro l’ipotesi del tribunale internazionale, si schieri Hezbollah e si schieri la Siria, e lo stesso D’Alema non solo auspica il dialogo con la Siria, non solo si fece fotografare a braccetto con esponenti di Hezbollah, ma giunse all’abominio di dirsi equidistante fra i terroristi che assaltavano Israele e mietevano vittime civili e Israele stesso, reo, ai suoi occhi, di reagire. Insomma, nel giro di poche settimane, e su temi cruciali, D’Alema ha tenuto posizioni a dir poco diverse. Posto che quelle originarie erano inaccettabili e detestabili, cosa lo ha indotto a cambiare opinione? E’ quello che, appunto, si vorrebbe sapere.
Una traccia c’è, ed è il sempre più concreto pericolo che i nostri soldati in Libano siano fatti oggetto di attentati. Più passa il tempo più la situazione si fa critica, e più, come abbiamo osservato fin dal primo momento, quelle truppe rischiano di divenire degli ostaggi. Il governo italiano, non da solo, purtroppo, escluse che la missione dell’Unifil sarebbe dovuta essere il disarmo delle truppe irregolari di Hezbollah e l’aiuto al legittimo governo nel controllo del territorio libanese. Nel corso del dibattito parlamentare è più volte tornata la suggestione che le truppe venivano schierate più per arginare che per proteggere Israele. Quello è l’equivoco da cui origina l’insicurezza, quella è la colpa politica che speriamo non si traduca in macabra contabilità. I rischi sono più forti, giorno dopo giorno. Anziché affidarsi alle trovate ed alle interviste, sarebbe bene il governo segnali in modo più formale, più serio, la necessaria correzione di rotta.

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