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Ma il garantismo non può essere a senso unico

Politica e giustizia, intreccio fatale

Da tredici anni confondiamo decisioni politiche con atti di rilevanza giudiziaria

di Davide Giacalone - 16 gennaio 2006

La politica e la giustizia tornano ad incrociarsi ed a pestarsi i piedi. Può capitare, ed in effetti capita in molte democrazie, ma da noi la cosa ha un aspetto patologico. Nonostante questa sia la patria di Beccaria, nonostante le pagine di Manzoni, mostriamo scarsa cultura del diritto, così capita che, nel dibattito pubblico, si scambi sempre il garantismo per innocentismo e la fiducia nella giustizia degeneri spesso in giustizialismo.

Allora: nessuno, mai, può essere considerato colpevole di qualche cosa se non dopo che vi sia stata una sentenza definitiva di condanna. Questo vale non solo per Fassino, che neanche è indagato, quindi neanche ipoteticamente accusato, vale non solo per Berlusconi, nei procedimenti che lo riguardano, ma vale per tutti, e vale per Consorte, per Gnutti, per Fiorani, e così via. Le indagini le fa la magistratura nella persona del pubblico ministero, il giudizio spetta ai tribunali. La pubblicazione di atti istruttori è una barbarie (purtroppo impunita), e quelli che ne traggono sentenze ad uso personale son solo dei mentecatti.

Ha fatto bene o male il presidente del Consiglio a fare una deposizione spontanea al pubblico ministero? In via teorica ogni cittadino dovrebbe collaborare con la giustizia, mentre per un pubblico ufficiale è addirittura un obbligo. Quando un cittadino va a dichiarare o deporre non è tenuto a vagliare prima se le cose che dirà prefigurano un reato o meno, questo è compito di altri. Direi che il difetto è altrove: un gesto simile lo si fa in silenzio, non segretamente, ma riservatamente.

Posto ciò, è evidente che la vita politica non si ferma, ed è bene che non si fermi. Da molto tempo punto il dito sulla privatizzazione di Telecom Italia, indicando in quel momento ed in quelle condizioni la fonte di molte turpitudini e deviazioni. Quel che ho visto, e che continuo a vedere, sono responsabilità politiche e comportamenti aziendali che danneggiano gli interessi dei risparmiatori. Il fatto che su questo non si apra un’indagine penale non significa affatto che io abbia le allucinazioni, ed il fatto che, all’opposto, un’indagine si apra non significa che io abbia già ragione. Sono cose che stanno su piani diversi.

La questione delle scalate bancarie è una questione politica, perché attiene all’idea che si ha del nostro mercato interno. Credere, come credeva Fazio, che sia prioritario difenderne l’italianità è legittimo, così come è legittimo ritenere che questo sia un errore. Se, poi, per difendere l’una o l’atra politica si siano commessi dei reati, è, ancora una volta, questione congruente, ma diversa.

Se i Ds hanno ritenuto, con Fazio, che la cosa più importante fosse far finire la Bnl nelle mani dei cooperatori, essi hanno compiuto una scelta politica. Credo sbagliata. Se, per dar forza a quella scelta, si sono adoperati perché Consorte la spuntasse, allora la faccenda diventa competenza della magistratura, che si spera sia libera di andare avanti, senza essere intralciata da eventuali accordi con il consulente di tutti i vincenti, Guido Rossi. Che ieri D’Alema abbia plaudito a Colaninno e Gnutti è cosa certa, e non è meno certo che Fassino si sia speso a favore di Ricucci, e questo basta al ragionamento politico. Se ciò sia avvenuto anche per altre utilità è cosa diversa, che nessuno è autorizzato a dar per certa fino a, eventuale, sentenza.

Tutte le garanzie processuali, quindi, ben si conciliano con la libertà del dibattito politico. Il guaio è che se la giustizia ci mette dieci anni per arrivare in fondo, la cosa finisce con l’essere inquinante: i colpevoli continueranno ad avere un improprio ruolo pubblico, gli innocenti si vedranno indeboliti senza aver colpe. Per questo ci battiamo senza risparmio per una giustizia che funzioni, e per questo, senza distinzione alcuna, ci battiamo per il rispetto di indagati ed imputati. Perché questa è la civiltà.

Però, ecco, Fassino cerchi di venirci incontro: prima di gridare all’aggressione, per cortesia, ci dica due parole su quando era lui l’aggressore. Già, perché quando noi difendevamo il garantismo, purtroppo, la sinistra interpretava quel ruolo squadrista e forcaiolo che oggi fa bene a rimproverare a quanti lo ripetono. Inoltre, ed infine, è naturale che, nella competizione politica, si approfitti delle debolezze o difficoltà altrui. La sinistra lo sa bene, non avendo risparmiato nulla, mai, ai propri competitori, ma fra chi profitta dei guai insorti per il gruppo dirigente dei Ds non mi pare ci sia solo qualche leader del centro destra, mi pare ci sia anche Romano Prodi.

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