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Public Policy

Il gioco dei partiti

Politica batti un colpo

Con Monti non è sparita la politica, deve solo essere ridefinita

di Enrico Cisnetto - 17 dicembre 2011

La fiducia parlamentare c’è, quella politica no. Vogliosi di tornare al più presto a parlare i linguaggio, che gli è proprio, della demagogia e del populismo, e preoccupati di non lasciar lucrare tutti i vantaggi dello stare all’opposizione a Lega da una parte e Idv dall’altra, Pd e Pdl con partitini annessi hanno reinventato il gioco tutto italiano dell’essere “di lotta e di governo” contemporaneamente. Così, alla fine di una trattativa troppo lunga e troppo di vecchio stile per vederne protagonista un “governo tecnico” scelto per fronteggiare una drammatica emergenza proprio laddove quelle stesse forze politiche avevano fallito, abbiamo assistito sia al voto di fiducia a larga maggioranza (495 voti a favore, 88 contrari e quattro astenuti) sia ad una presa di distanza dal governo Monti, con aspre polemiche, anche di grana grossa come le dichiarazioni del redivivo Berlusconi (“Monti è disperato e non è detto che duri”) che cercavano di non essere da meno delle becere proteste e delle provocazioni secessioniste dei leghisti.

Si tratta di una china pericolosa, lungo la quale ha evitato di muoversi il solo Casini (non tutto il Terzo Polo, in verità). Sia chiaro, non è che manchino i motivi per criticare la manovra e le ragioni di delusione per il profilo assai poco smart che, tra incertezze e balbettii, il governo dei professori ha fin qui assunto. Ma questo non significa sentirsi autorizzati ad un cecchinaggio, perdendo il senso del rischio di caos che si genera se si mette il governo Monti nella condizione di restare in carica per la sua debolezza e non per la sua forza (la definizione è di Stefano Folli).

Oggi nessuno ha davanti a sé il traguardo delle elezioni anticipate a marzo, quindi né Pd né Pdl faranno mancare i voti all’esecutivo. Ma tutti pensano già alle elezioni – a giugno, a ottobre o alla scadenza naturale, magari leggermente ravvicinata – e si sono convinti che indignandosi per i sacrifici e blaterando di equità possono portarsi avanti nella caccia al voto. Peccato che non abbiano capito cosa pensano davvero gli italiani, che rinfacciano a loro (ex maggioranza ed ex opposizione) la crisi e il rischio di default, che li giudicano “casta” (come e peggio che nel 1992-1994) e in quanto tali non li rivoteranno e che verso Monti hanno più tolleranza di quanto non credano i politici. Un conto sono le corporazioni che bloccano le liberalizzazioni, un altro il sentimento del cittadino medio, che certo non è contento di fare sacrifici ma capisce che senza interventi il costo sarebbe decisamente più alto.

Insomma, se Monti non gode di un gradimento alto, la politica ne ha uno bassissimo. Nessuno rimpiange il centro-destra e il centro-sinistra, tutti hanno capito che il bipolarismo all’italiana è stato un catastrofico fallimento. Per i partiti, dunque, il vero tema è un altro. Approfittare che c’è qualcuno che fa, bene o meno bene, ciò che loro non hanno fatto, per autorigenerarsi e rifondare il sistema politico. Cosa che presuppone, per entrambi gli obiettivi, una loro scomposizione e ricomposizione. E la lama più affilata per dividere i due grandi partiti è proprio rappresentata dall’atteggiamento da tenere nei confronti del governo Monti: da un lato i moderati e i riformisti, che avendo a cuore le sorti del Paese lo appoggiano lealmente e con grande intensità politica, dall’altro gli oltranzisti e i massimalisti, che possono (debbono) andare a tenere compagnia a leghisti e dipietristi.

È ora che chi ha sale in zucca e una visione del futuro si faccia avanti: nel Pdl è più facile, senza il ricatto morale del “sosteniamo Berlusconi altrimenti lo arrestano”; nel Pd è venuto il momento del fare i conti con il finto unanimismo che fin qui ha consentito a Bersani di rimanere segretario passando senza soluzione di continuità dalla “fotografia di Vasto” (lui, Di Pietro e Vendola) al dialogo con Casini e Alfano. Sono capaci di questo scatto? Possono aiutare concretamente Monti e Passera a disegnare la “fase due” della politica economica?

Finora abbiamo ascoltato solo voci flebili e isolate. Ma se qualcuno prendesse l’iniziativa, l’aggregazione sarebbe più facile e rapida di quanto non si ipotizzi. Penso, per esempio, ad un gruppo parlamentare nuovo che diventi se non proprio il “gruppo Monti”, qualcosa di simile. La base c’è: il gruppo misto, dove ieri è approdata anche Stefania Craxi, e i “malpancisti” guidati da Giustina Destro e Beppe Pisanu, che già avevano dato un colpo decisivo al governo Berlusconi. Insomma, si ritorni a fare politica. Si è detto – sbagliando – che il governo Monti avrebbe esautorato la politica. In realtà, è la politica che ha abdicato e ora deve ridefinirsi. Monti ha il dovere di ben governare, prima di tutto per salvare l’Italia e poi per dare il tempo alla politica (e a chi, da fuori, intende parteciparvi per rigenerarla) per riconquistare l’ascolto degli italiani. E più e meglio lo farà, più aumenterà le chances che le prossime elezioni siano le prime della nascente Terza Repubblica e non le ennesime della Seconda ormai fallita. Ma il resto lo devono fare gli altri.

Alcuni segnali incoraggianti, come quelli che vengono da un mondo cattolico in fermento, ci sono. Altri, come quelli che dovrebbero venire da quel mondo laico che una volta rappresentava la borghesia e le sue élite, per ora latitano. Sarà bene che si capisca che si tratta di cose non meno importanti e urgenti di quelle relative alle manovre di bilancio.

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