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Accantoniamo il progetto delle elezioni anticipate

Più stimoli alla domanda e agli investimenti

Concentriamoci sulle iniziative da attivare e diamo avvio alle riforme di struttura necessarie

di Angelo De Mattia - 23 novembre 2009

In un discorso, per ora sperabilmente astratto, sulla eventualità del ricorso a elezioni anticipate, ci sarebbe, ovviamente, da fare i conti con l’esercizio, come sempre rigoroso e lungimirante, del potere esclusivo del Capo dello Stato, ex art. 88 della Costituzione, di sciogliere le Camere, sentiti i loro Presidenti.

E se, a giudizio del Quirinale, non dovessero ricorrere i presupposti per la decisione di scioglimento, non è pensabile che a un provvedimento del genere si possa mai arrivare solo perché lo dovesse chiedere una espressione della maggioranza, in quanto, accedendovi senza la ricorrenza delle necessarie condizioni, si perverrebbe nell’alveo dell’autoscioglimento, con uno svisamento della previsione della Carta fondamentale. Sono ben note l’imparzialità, la fermezza, la profonda lealtà costituzionale di Giorgio Napolitano perché si possa fondatamente ipotizzare un esito favorevole di un ( improbabile ) tentativo di giungere a elezioni anticipate, in un contesto che fosse privo dei dovuti presupposti.

Dunque, di questo tema si può ora parlare , non perché se ne possano realisticamente intravedere i prodromi, ma solo perché in queste difficili giornate esso viene presentato come una delle eventualità da una parte della stampa.

Ma una eventualità della specie, mentre non si è ancora fuori dalla crisi, nonostante gli squilli di tromba su di una supposta uscita dalla recessione, costituirebbe un progetto dannoso non solo sotto il profilo politico-istituzionale, non solo per il rapporto dei partiti con l’opinione pubblica, nonché, più in particolare, con gli elettori, e per i riflessi sulla stabilità istituzionale, ma anche, e forse ancor più tangibilmente, dal punto di vista economico e sociale.

Considerato che una fase elettorale e di formazione dei nuovi organi costituzionali rappresentativi richiederebbe un tempo almeno di tre mesi, nel corso dei quali la cosa pubblica potrebbe essere gestita soltanto con l’ordinaria amministrazione, la supposta via delle elezioni anticipate accentuerebbe significativamente la situazione di debolezza della risposta finora data alla crisi, non tanto per gli aspetti finanziari – nei quali il nostro Paese è stato meno danneggiato di molti altri – quanto per le condizioni dell’economia reale, per i problemi sociali, a partire dall’occupazione, e per la situazione della finanza pubblica.

Dopo che , da parte del Governo, è stata declamata la continua operosa presenza nel fronteggiare la crisi ed è stato agitato il merito di questa pretesa vigile strategia, ora che le difficoltà non sono cessate, anche se ci si incammina lentamente verso la riva – contemporaneamente con il modificarsi dello scenario internazionale – vi sarebbe un sia pur temporaneo abbandono della nave, con l’impossibilità di attivare ogni misura necessaria , in quanto difficilmente consentita dall’ordinaria amministrazione.

Quantunque ciò che finora è stato fatto non sia per nulla esente da critiche e la linea della politica economica inerziale non sia certo quella più indicata in una fase non meno difficile di quella vissuta quando la crisi era più virulenta, la risposta che verrebbe data , con la fine della legislatura,sarebbe all’insegna di una vera irresponsabilità, che porterebbe ad abbandonare anche la minimale impostazione del contrasto delle non cessate difficoltà.

Ma perché, poi, si aspirerebbe a una nuova competizione elettorale, da parte di una maggioranza parlamentare la più consistente nella storia dell’Italia repubblicana? Sarebbe semplicemente l’intento di sottoporre plebiscitariamente agli elettori i programmi ( non si capisce bene quali ) che si intendono realizzare e che con gli attuali rapporti di forza già sarebbero pur sempre attuabili? Oppure, si tratterebbe di cambiare uomini, considerato il sistema vigente che è elettorale solo per il numero dei seggi che si riescono a conquistare, ma che, per quel che riguarda i singoli candidati, alimenta di fatto una pratica di “nomine”, cioè di parlamentari “nominati” dai rispettivi partiti?

Insomma, la straordinarietà- per non dire il carattere plebiscitario e demagogico - delle finalità che sarebbero perseguite accentuerebbe gli impatti sfavorevoli sull’economia. E’ strano che finora nessuno abbia fatto menzione del rischio spread ( tra i rendimenti dei nostri titoli di Stato poliennali e quelli tedeschi), nel caso di ricorso alle elezioni, quando, invece, un tale pericolo viene frequentemente evocato a proposito e a sproposito per evidenziare gli impatti sull’onere per interessi relativi al debito pubblico conseguenti a scelte che si ritengono malaccorte? Che ne sarebbe della tanto strombazzata messa in sicurezza dei conti pubblici, soprattutto perché essa non è stata vivificata, fin qui, da una valida politica economica? Quale ruolo, dopo una decisione di tale portata che si presterebbe a valutazioni non certamente positive, l’Italia potrebbe svolgere nei consessi internazionali nelle lunghe settimane elettorali e, poi, in quelle della formazione del nuovo governo? Non sarebbe una sorta di “cupio dissolvi”?

Nella più benevola delle ipotesi, sarebbe l’ammissione dell’incapacità di governare pur con l’accennata maggioranza: un caso veramente patologico. E con questi presupposti si alimenterebbe la fiducia dei mercati, degli operatori, dei risparmiatori, delle imprese? O non sarebbe, piuttosto, un agire allo sbando? Dopo aver predicato, in questi mesi, la necessità, a livello globale, di nuove regole per le attività economiche e finanziarie, fino a parlare, volando nell’empireo, della necessità di uno jus publicum cosmopoliticum, riesumando reminiscenze kantiane, si atterrerebbe molto prosaicamente sulla voglia di forzare l’interpretazione e l’applicazione della norma costituzionale relativa allo scioglimento delle Camere. E, forse, ci si rifarebbe al precedente del governo Fanfani del 1987, al quale lo stesso partito del presidente votò, previo accordo, la sfiducia, per poter così sciogliere le Camere e indire nuove elezioni: ma si trattava di condizioni assai diverse e senza, comunque, che vi fosse una maggioranza parlamentare del tipo di quella oggi esistente.

Un progetto, quello delle elezioni anticipate, se mai esistente, da accantonare, dunque. Sarebbe apportatore di numerosi e pesanti danni e di scarsissimi vantaggi, effimeri anche per chi su di essi avesse puntato. Piuttosto, sarebbe da concentrarsi sulle iniziative da attivare, sulla necessità di intraprendere una diversa, efficace politica economica, che , da un lato, affronti l’avvio delle riforme di struttura e, dall’altro, batta il ferro caldo di questo momento, ora che cioè si comincia a vedere la luce in fondo al tunnel, imprimendo stimoli alla domanda e agli investimenti. Bisogna evitare che per la vita si perda, metaforicamente, la ragione di vivere, “ vivendi causam perdere”.

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