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Focus on: Medio Oriente

Personaggi / Farian Sabahi

di Marco Scotti - 23 ottobre 2009

Un’intervista esclusiva alla professoressa Farian Sabahi, docente di Storia dei Paesi islamici e Culture politiche dell’Islam all"Università di Torino e del corso L’évolution politique et sociale en Iran dès 1890 all"Università di Ginevra. È stata l’occasione per fare il punto della situazione, in particolare su tre Paesi musulmani che stanno vivendo, ancora una volta, un momento particolarmente travagliato: l’Iran, che potrebbe aver perso la propria guida spirituale se i rumours venissero confermati; il Pakistan, ancora una volta teatro di sanguinosi attentati; l’Afghanistan, che dovrà procedere ad un nuovo spoglio delle schede elettorali a causa di alcuni brogli certificati dagli Osservatori.

Professoressa Sabahi, se la morte di Khamenei fosse confermata, quali scenari si aprirebbero in Iran?

Molto dipenderebbe dalle modalità con cui verrebbe data la notizia ma credo che difficilmente la leadership di Teheran si farebbe prendere alla sprovvista. E" quindi molto probabile che la notizia della morte del leader supremo sia data in concomitanza con quella della successione. E si potrebbe persino ipotizzare che a succedergli nella posizione di faqih (giureconsulto) sia un organo collegiale (per mettere d"accordo le varie fazioni) e non un singolo individuo. Sarebbe un modo per iniziare un nuovo corso, come auspicano esponenti del fronte riformista che sentono la necessità di un cambiamento ma non osano mettere in dubbio il velayat-e faqih (governo del giureconsulto, del clero) voluto dall"Ayatollah Khomeini.

Le violenze in Pakistan non accennano a placarsi, quali pensa possano essere gli sviluppi nel breve e lungo periodo?

La realtà pachistana è, come d"altronde quella afgana, molto legata alle dinamiche tribali per noi difficilmente comprensibili. Ma, pur essendo considerato uno dei paesi più violenti al mondo, ha anche una vita culturale molto vivace, ovviamente destinata ai ceti urbani e medio-alti. Gli sviluppi dipenderanno da fattori esterni (e quindi dagli equilibri regionali) ma anche dalle dinamiche interne, contrassegnate dalla complessità e difficilmente prevedibili. Non bisogna poi dimenticare il ruolo chiave che vi esercitano, da decenni le forze armate. In questo senso dobbiamo fare attenzione al ruolo crescente dei pasdaran nella Repubblica islamica dell"Iran dove, come ha denunciato recentemente il grande ayatollah Montazeri in una fatwa, si rischia di passare dal velayat-e faqih (governo del clero) al velayat-e nezami (governo militare).

L"Afghanistan, con il nuovo spoglio delle schede elettorali, potrebbe andare incontro ad una nuova stagione? Come sarebbe vista dai Paesi occidentali un"ipotetica vittoria di Abdullah?

Dopo il sostegno occidentale all"Iran in seguito ai brogli nelle contestate elezioni presidenziali del 12 giugno è importante che la comunità occidentale abbia riconosciuto anche i brogli in Afghanistan e abbia quindi fatto pressioni su Karzai per andare al ballottaggio.Altrimenti si rischiava di essere accusati, ancora una volta, di usare due pesi e due misure nella regione. Difficile, soprattutto per una storica, prevedere gli sviluppi. Prima di tutto una premessa: in Afghanistan le dinamiche elettorali sono diverse da quelle europee e nord-americane: i voti sono oggetto di compravendita e non sono mai un atto individuale quanto piuttosto una decisione di gruppo dopo aver valutato i relativi interessi in gioco. Detto questo gli scenari potrebbero essere due. 1) In questi giorni il presidente Karzai e lo sfidante Abdullah potrebbero mettersi d"accordo e creare un governo di unità nazionale, ma le trattative potrebbero durare settimane e il risultato potrebbe essere un"amministrazione debole. 2) Si va effettivamente al ballottaggi, tra due settimane come previsto, prima che l"inverno renda impraticabili quelle regioni montuose. In ogni caso nessuno può garantire che non ci saranno ulteriori brogli e quanti afgani torneranno a votare numerosi. Insomma, il successo non è assicurato. Infine, bisogna tener conto della complessità del contesto afgano dove il diritto trova difficile applicazione, la corruzione è molto diffusa, i confini sono porosi e l"economia si basa sulla produzione e sul commercio di droghe. Droghe che, secondo i dati delle Nazioni Unite, valgono 65 miliardi di dollari, finanziano il terrorismo su scala globale, soddisfano la domanda di 15 milioni di "consumatori" e ogni anno uccidono centomila persone.

La notizia data dal Times secondo cui gli italiani "pagherebbero i Taliban" potrebbe prestare il fianco ad una spaccatura nella coalizione impegnata in Afghanistan?

Certo, l"Italia potrebbe essere oggetto di critiche ma mi sembra ridicolo ignorare che in quella parte del mondo i signori della guerra sono sempre stati pagati per schierarsi con l"uno piuttosto che con l"altro. E creare alleanze con i vari gruppi è sempre fondamentale. In Afghanistan come nel Sud del Libano.

Un suo commento sull"accusa lanciata contro i servizi internazionali dal presidente del Parlamento Ali Larijani rispetto alla politica della mano tesa di Obama.

Gli iraniani hanno ottimi motivi per diffidare degli americani. Nel 1953 hanno finanziato e messo in atto il colpo di stato contro il premier iraniano Mossadeq che aveva osato nazionalizzare il petrolio e nel 79 non hanno aiutato lo scià - loro stretto alleato - che stava morendo di tumore ed era stato obbligato a lasciare l"Iran a causa della rivoluzione. Venendo ai giorni nostri, Obama ha teso la mano ma in varie occasioni ha accusato la leadership iraniana e giovedì scorso il Congresso ha approvato la legge che punirà le società straniere che venderanno benzina all"Iran (l"Iran è ricco di petrolio ma non ha sufficienti raffinerie) impedendo loro di fare contratti con il dipartimento americano per l"energia, contratti per le riserve speciali. Manca solo la firma di Barack Obama, e da questo gli iraniani capiranno le vere intenzioni del presidente americano. In ogni caso la pace con Washington è un argomento tormentato per la leadership iraniana perchè i tre slogan con cui era stata fatta la rivoluzione del 1979 erano “morte all"America”, “morte a Israele” e “viva il velo”. Tre slogan che rischiano di perdere terreno: il 21 marzo Obama aveva teso la mano all"Iran in occasione del capodanno persiano, oggi i media scrivono di un incontro tra negoziatori iraniani e israeliani sul nucleare, e il velo è diventato il simbolo di una battaglia per le libertà.

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