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Perdersi in provincia

Un buon inizio e nulla più l'abolizione delle nove province

di Davide Giacalone - 28 maggio 2010

Le province non dobbiamo abolirle, anche se ai cittadini sfugge la loro funzione e utilità, anche se a votare per eleggervi dei rappresentanti, delegati a non si sa cosa, vanno sempre meno elettori. Ci conviene tenercele care, preservarle, custodirle in un museo di storia istituzionale, a imperitura memoria di ciò di cui siamo capaci. Non so cosa abbiano fatto di male le province con meno di 220 mila abitanti, non so se già non erano affollate anche quando furono istituite (come suppongo), non so quante ce ne siano che abbiano pochi abitanti e siano confinanti con Paesi stranieri, sicché, secondo il redigendo decreto governativo, debbano essere salvate, manco dipendesse da loro la sicurezza nazionale (e con chi confinano?), non so nulla di questo e non mi va di documentarmi. E’ irrilevante. La questione reale, ben più consistente, riguarda le sovrapposizioni e le duplicazioni nell’amministrazione pubblica e l’inconsistenza della rappresentanza politica. Roba seria.

Il governo ha fatto sapere che per abolire le province ci vuole non un decreto, ma una modifica della Costituzione. Verissimo. Peccato che quando si è messa mano alla Costituzione si sono complicate le cose, moltiplicando quel che andava semplificato. Il testo originario, entrato in vigore il primo gennaio del 1948, recava il seguente articolo 114: “La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni”. Chiaro, sintetico e netto. Una risicata, sciagurata e demolitrice maggioranza di sinistra, nel 2001, lo cambiò come segue: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. Non si capisce un tubo, se non che hanno frantumato lo Stato e aumentato gli enti da amministrare. Poi l’articolo continua, mettendoci anche che una legge dello Stato regola la città di Roma, in quanto capitale. Il bello è che i “costituzionalisti” autori di tale obbrobrio ancora s’aggirano a dar lezioni, anziché vergognarsi. E hanno il coraggio di dire che la Costituzione non si deve toccare, dopo averla sfregiata.

La logica, il buon senso e la buona creanza avrebbero voluto l’esatto contrario. Difatti dopo l’istituzione delle Regioni a statuto ordinario, nel 1970, Ugo La Malfa disse quello che ora pensa la stragrande maggioranza degli italiani: cancelliamo le province. Non era cattiveria, ma un banale ragionamento: se si trasferiscono le funzioni (all’epoca della Costituzione le Regioni erano solo sulla carta) che ce li teniamo a fare gli enti locali svuotati? Domanda ingenua, perché nulla è più duraturo del sorpassato, non si chiude mai niente, avendo cura di lasciare sempre qualche cosa da qualche parte. Questo è il nostro problema di oggi. Sono passati quaranta anni, da quando le province divennero inutili, ma nel frattempo sono aumentate. Conservano competenze su questioni stradali o scolastiche, benché sia sicuro che se andate a chiederle ai consiglieri provinciali manco loro le conoscono. E’ vero che chiuderle d’un botto è possibile solo riformando la Costituzione, ed è anche vero che non è detto si risparmi granché, perché uffici, competenze e personale passerebbero ad altri. Ma è anche vero che mettere ordine nelle competenze ha un senso se si va verso la semplificazione, e che questa strada la si imbocca a patto di non aggrapparsi alla conservazione di tutto l’esistente. Così com’è vero che le cose inutili crescono nel tempo, se non si chiudono i rubinetti finanziari. Quindi, possiamo anche sostenere che il tema principale non è quello della cancellazione delle province, bensì il riordino delle competenze, e possiamo far finta di credere che il numero dei posti elettivi sia direttamente proporzionale alla rappresentatività degli eletti, mentre credo sia inversamente proporzionale alla loro credibilità e funzionalità, ma, allora, almeno si evitino le provocazioni e le prese in giro.

L’abolizione delle mini province mi sta bene, se è l’antipasto. Ma se si tratta dell’intero servizio, pronti a considerarlo fin troppo nutriente e pesante per la digestione, ne deduco che l’unico intento del governo era tentare il suicidio in nove località, portando a casa un risultato irrilevante, quindi irritante.

Pubblicato da Libero

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