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L’uso strumentale di uno pseudo-referendum

Perché definirlo uno “stupido atto”

Un peso in meno per i sindacati e per il mondo politico sulla scelta della riforma del welfare

di Alessandro Rapisarda - 15 ottobre 2007

E’ un peccato di ingenuità credere che il concetto di democrazia possa essere un sinonimo di giustizia, ed è altrettanto sciocco pensare che decisioni importanti come la riforma del welfare possano determinarsi mediante un referendum. Il referendum organizzato dalle forze sindacali, che ha visto la sua conclusione nella giornata del 10 ottobre, dovrebbe e sottolineo dovrebbe aver determinato, con un suffragio del 75%, la decisione da parte dei lavoratori dipendenti di aderire al progetto di riforma del welfare, che vede come co-firmatari le associazioni di categoria, i sindacati ed il governo. Potendo esprimere liberamente un pensiero in merito a questo referendum, lo considero uno stupido atto democratico.

Tralasciando le dubbie modalità dello svolgimento del referendum, che manderebbero in tilt il concetto di democrazia, qualcuno dovrebbe spiegare a tutte quelle persone che non hanno lavoro o che sono lavoratori autonomi con un reddito basso - e che si trovano a carico moglie e figli - il perché non sono state coinvolte in una scelta così importante che sicuramente influenzerà il loro futuro. Questo pseudo-referendum sembra aver sostanziato il concetto di welfare uguale a mondo del lavoro o del lavoratore dipendente. Questo è il più colossale errore politico, sociale ed economico. Gli strumenti del welfare si determinano in base alle criticità sociali, che generano impellenti bisogni e non sempre i beni che determinano il soddisfacimento di questi bisogni devono essere reperibili dalla cosa pubblica. Esistono strumenti come la sussidiarietà che, da tempo, riescono a determinare risultati, per quanto piccoli, migliori di quelli ottenuti dalla macchina pubblica.

Non si può quindi escludere con un semplice riduzionismo il concetto di welfare, nel quale vengono ospitate situazioni sociali che molte volte non si accomunano al mondo del lavoro dipendente. D"altro canto fino ad oggi parlavamo di stato assistenziale, intendendo per tale tutto quello che era inerente agli ammortizzatori sociali e alle pensioni. Oggi invece ci troviamo ad affrontare situazioni più complesse, dove i giovani a fatica riescono a mettere su famiglia, a trovare lavoro, a spostarsi tranquillamente da una città all’altra, ad affrontare una sanità sempre più povera, a combattere contro muri di burocrazia, a pagare l’affitto, gli studi ecc.. Anche questo deve essere considerato welfare, che non dipende direttamente dalla qualificazione della tipologia di reddito percepito, ma dall"attenzione alla realtà sociale e dalla dimensione degli individui che la vivono.

L’atto democratico del referendum si è dimostrato dunque profondamente ingiusto ed è servito unicamente a scaricare la coscienza (e soprattutto la responsabilità) dei sindacati e del mondo politico sulla scelta della riforma del welfare. Infine i giovani, soprattutto quelli vestiti di un minimo di potere politico, non si sono ribellati, non hanno lottato per il loro futuro e forse questo è stato il più grande atto di ingiustizia (e codardia).

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