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Saviano affascina il pubblico a “Che tempo che fa”

Per una volta, lasciamo stare la politica

Di destra o di sinistra? Semplicemente una cosa bella

di Marco Scotti - 17 novembre 2009

Non sono mai stato un fan sfegatato di Roberto Saviano e, anzi, ho in alcune occasioni pensato che ci fosse qualcosa di artefatto nel suo modo di raccontare. Chi ha letto “Gomorra”, per esempio, avrà notato come certe sequenze descritte indugino in modo eccessivo su dettagli cinematografici che poco hanno a che fare con la narrazione. Avevo notato un certo compiacimento nel descrivere certe minuzie; infine, mi sembrava che certi brani fossero frutto di divagazioni di fantasia, più che fedele riproduzione della realtà. Insomma, pur avendo apprezzato il best-seller, nutrivo una certa freddezza nei confronti dell’autore.

Ma l’altra sera, a “Che tempo che fa”, è andato in scena un pezzo di grandissima letteratura, più che di giornalismo. Da sempre ho nutrito somma ammirazione per chi sa raccontare una storia in modo convincente, sia essa vera o falsa. Certo, il fatto che sia vera offre alla fabula un valore aggiunto non da poco. E questo ha offerto il giornalista campano: storie, peraltro vere, di uomini e donne, che si intrecciano con altre storie.

Nello studio di Rai Tre, mercoledì scorso, Fabio Fazio ha introdotto la serata leggendo una poesia di Keats, che recitava, tra l’altro, “la verità è bellezza, la bellezza è verità”. Da quel momento e per tutta l’ora successiva, davanti alle telecamere era presente il solo Saviano che, con passione e ardore ha voluto raccontare al pubblico a casa delle storie di verità, di soprusi, di violenze e di inganni. Ed era questa prima parte (la seconda, sempre della durata di un’ora, si è svolta sui binari più convenzionali della chiacchierata tra i due giornalisti) quella che ha rapito la mia attenzione, riconciliandomi con la televisione e il servizio pubblico.

Il giorno dopo, la Fondazione FareFuturo, diretta emanazione del pensiero del presidente Gianfranco Fini, ha voluto, tramite il direttore Filippo Rossi su Ffwebmagazine, celebrare Saviano come un pensatore di destra: “Senza intermediazioni intellettualistiche – si legge nella nota – quello apparso per due ore su Raitre è stato un grande pensatore di destra”. Motivo? “Con una visione eroica della lotta per la legalità, che non conosce sociologismi né ideologismi, l’autore di Gomorra dimostra di credere nell’individuo come motore della storia. Come graffio all’omologazione, come sgarbo all’intruppamento. Contro qualsiasi inquadramento dogmatico. Contro ogni sovrastruttura. Anche per questo Saviano non può che stare da queste parti: perché è un moralista libertario, un antitotalitario vero che snocciola un anticomunismo vero, genuino, non strumentale, svuotato da quella retorica che in troppi usano ancora come arma, uccidendo il senso di ogni battaglia”.

Con tutto il rispetto che nutro per una fondazione così seria, trovo che ridurre la grandezza a colore politico sminuisca quell’assoluto che solo in rare occasioni si riesce a toccare. Perché, se è vero che la politica è uno degli aspetti più significativi della nostra vita e che spesso in base ad essa scegliamo amicizie, compagni di vita, lavori e via dicendo, è anche giusto rimarcare come in certe occasioni sia del tutto inutile tentare di riportare nell’insenatura di questo o quel colore politico qualcosa di grande. Di D’Annunzio, per esempio, si conosce fin troppo bene l’inquadramento politico; eppure, nessuno si sogna di ricordarne le inclinazioni quando si immerge nella lettura delle pagine de “Il piacere”. Semplicemente perché in quel momento l’autore si erge a patrimonio comune della società civile: né nero, né rosso, né bianco. Unico e fruibile da tutti.

Recentemente, il ministro dell’economia Giulio Tremonti ha citato Marx: sarebbe spiazzante se si pensasse al grande filosofo ed economista tedesco unicamente come al teorico del comunismo. Ma l’analisi svolta da Marx può essere ricondotta solo nell’alveo rosso della visione politica? A mio giudizio, assolutamente no.

Alessandro Magno era di destra o di sinistra? Francamente è poco rilevante, poiché le sue gesta travalicano gli schieramenti. Mi sono spinto troppo nel passato? Allora pensiamo a Winston Churchill, un conservatore tra i più radicali, eppure nessuno, da sinistra, si sogna di negargli i meriti che gli spettano per aver saputo organizzare una resistenza ai tedeschi efficace e, infine, vincente.

Per una volta, almeno una, di fronte a una cosa bella, non corriamo come formiche per cercare di ricondurla sotto l’ombrello di questo o di quello schieramento. Smettiamo di tirarle la giacca sperando di poterla annoverare "tra i nostri". Sediamoci, tutti. E ascoltiamo in silenzio.

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