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Dopo numerosi tentativi e modifiche di vari punti

Per una nuova Costituzione italiana

Una nuova Carta che valuti vantaggi e svantaggi, e tenga conto di esperienze estere

di Franco Chiarenza - 30 giugno 2006

Che la Carta costituzionale del 1948 vada cambiata nelle parti che non corrispondono più alla realtà e alle nuove esigenze del Paese è un fatto accertato e generalmente condiviso già da molti anni. Numerosi infatti sono stati i tentativi di riforma, vuoi attraverso il lavoro di commissioni bi-camerali ad hoc, vuoi attraverso leggi costituzionali che hanno modificato in vari punti il testo della Costituzione, spesso compromettendone la coerenza complessiva che in qualche misura il faticoso compromesso del 1948 aveva assicurato.
La riforma del titolo V realizzata dalla maggioranza di centro-sinistra e quella più generale predisposta dal centro-destra (respinta nel recente referendum) rappresentano entrambe tentativi di modificare il testo costituzionale attraverso le stesse maggioranze parlamentari che esprimono il governo. Così facendo si è creato il pericoloso precedente di una Costituzione adattata di volta in volta alle contingenze politiche contraddicendo il principio stesso di Costituzione intesa come documento fondamentalmente condiviso, e perciò posto alla base della convivenza civile, che resta valido per ogni mutamento di governo, e per le cui modifiche – quando necessarie – si proceda con un’ampia convergenza di consensi che vada oltre le maggioranze di governo; questa è d’altronde, in forme diverse ma con identica sostanza, la tradizione consolidata nei paesi dell’Europa occidentale e negli Stati Uniti d’America.
A prescindere dall’esito del referendum, occorre interrompere questa pericolosa tendenza; l’unico modo per farlo è avviare un nuovo processo costituente attraverso l’elezione a suffragio rigorosamente proporzionale di una assemblea che possa con la legittimità che le deriva dal mandato elettivo e dalla sua estraneità dalle contingenze della politica quotidiana, disegnare nuove regole del gioco in linea di continuità con la Costituzione del 1948. Tale compito, garantito innanzi tutto dalla separazione delle proprie funzioni da quelle parlamentari, ed eventualmente anche dall’adozione di maggioranze qualificate che potranno essere previste nella stessa legge costituzionale che dovrà configurare il ruolo e i conseguenti poteri da attribuire all’assemblea, sarà certamente facilitato dalla competenza dei suoi componenti e dalla possibilità di condividere le decisioni attraverso un confronto sereno e non condizionato da rigidità partitiche e da vincoli ideologici.
Linea di continuità con la Costituzione del 1948 non significa tuttavia che la riscrittura della carta fondamentale debba essere condizionata da vincoli fissati nella legge costituzionale che dovrà istituire l’assemblea costituente, come spesso si sente ripetere a proposito della prima parte della Costituzione, quasi ci trovassimo di fronte a comandamenti fondativi della democrazia; in realtà anche la prima parte e gli stessi principi fondamentali (art.da 1 a 12) risentono del clima particolare degli anni immediatamente successivi alla caduta del fascismo, con la fine della seconda guerra mondiale e la lotta della Resistenza, e sono formulati in un modo che risente di preoccupazioni oggi difficilmente comprensibili. Faccio qualche esempio: cosa vuol dire (art. 4) che “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” ? Che chi non lo fa sarà un cittadino escluso dai diritti politici ? Forse chi volle questa formulazione nel 1948 pensava di farne la base di un’estensione di questo tipo ? Il famoso art. 7, inserito tra i principi fondamentali, riflette una condizione storica e sociale di quegli anni quando statuisce che i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica debbano essere regolati in forma pattizia, diversamente dalle altre confessioni religiose regolate dal successivo art. 8. E’ questa una formulazione coerente con una moderna costituzione e con la realtà di uno stato laico neutrale rispetto alle credenze religiose ? L’altrettanto famoso art. 11 dove si proclama il ripudio della guerra “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” non andrebbe forse riformulato in modo diverso alla luce delle drammatiche esperienze di questi cinquant’anni ? Per non parlare dei molti articoli della parte I, soprattutto ai titoli II, III e IV, che risentono chiaramente del clima politico e sociale del dopo-guerra e che andrebbero riscritti, sia per eliminarne alcune incongruenze rispetto alla situazione odierna, sia anche per integrarne carenze allora impossibili da individuare.
Le norme di una costituzione degna di questo nome devono essere organiche, devono fissare alcuni principi generali senza rinvii alla legislazione ordinaria che essendo espressione delle variabili maggioranze parlamentari ne rispecchia le scelte politiche, economiche e sociali. Per questo occorre eleggere un’assemblea costituente che, avendo soltanto il compito di riscrivere la Costituzione, non esprima preoccupazioni di carattere contingente e si pronunci invece su alcune grandi questioni di principio che riguardano i diritti umani in relazione alle nuove realtà scientifiche (bioetica), le nuove frontiere della comunicazione e dei diritti che ne discendono, la legge elettorale (stabilendo quorum qualificati per le sue modificazioni), la distinzione dei ruoli e delle carriere nella magistratura, e, per ciò che attiene la politica, il necessario equilibrio tra esigenze di governabilità e poteri di controllo del Parlamento e, in esso, dell’opposizione. Va infine risolto il nodo del federalismo, stabilendo se l’Italia debba essere uno stato unitario con la massima possibile estensione del decentramento compatibile con il mantenimento di un governo centrale della società, o se debba trasformarsi in uno stato federale che trae la sua legittimità dalle realtà locali (come avviene per esempio in Germania) nel cui contesto misure come quelle previste da recenti progetti di riforma costituzionale sono sostanzialmente legittime e semmai possono essere considerate insufficienti se non accompagnate da un reale federalismo fiscale.
Un federalismo autentico è oggettivamente fondato sulla competizione tra gli enti locali e riduce gli strumenti di compensazione e di intervento dello stato centrale a poche seppure essenziali funzioni. Il “federalismo solidale” di cui si sente tanto parlare è una contraddizione in termini che rappresenta soltanto una difesa dell’assistenzialismo gestito dal centro (controllabile quindi dalle forze politiche) ed è il contrario della creazione di strumenti economici e sociali correttivi flessibili e sottratti alla discrezionalità politica. Una nuova Costituzione deve fare una scelta precisa, valutando vantaggi e svantaggi, tenendo conto di esperienze estere che nel 1948 non si conoscevano, senza mai dimenticare il quadro europeo in cui ci troviamo ad operare anche dal punto di vista normativo. Ce n’è abbastanza per due anni di lavoro affidato a persone competenti (ma non soltanto a giuristi) legittimati da un voto popolare ma esclusi dalle decisioni politiche contingenti. Certo sarebbe ingenuo ritenere che non ci saranno influenze ideologiche, pressioni partitiche e di gruppi di interessi, con gli inevitabili compromessi che ne seguiranno: lo strumento non è perfetto, ma l’esperienza fatta dimostra che non ne sono stati trovati di migliori.

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