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Prendiamo esempio dall’agenda Obama

Per “non sprecare una buona crisi”

Meglio una politica che guardi al futuro, che non la “bestia” che attende che la crisi passi

di Flaminia Festuccia - 16 marzo 2009

“Never waste a good crisis”, non sprecare una buona crisi. Il Segretario di Stato Hillary Clinton ha affrontato così, con un approccio “giapponese”, i problemi che l’amministrazione Obama si trova davanti. Giapponese, perché nel Paese del Sol Levante la parola crisi è composta da due ideogrammi che significano rispettivamente “pericolo” e “opportunità”. L’intenzione del nuovo governo Usa, insediato da appena sette settimane, sembra essere quella di cogliere l’opportunità e rivoluzionare alla base il sistema. Ma forse, pensano in molti, sarebbe il caso di fare una cosa alla volta. Per esempio, un articolo di Time Magazine che analizza le scelte del governo Obama, è dello stesso parere.

Dopo sette settimane – un tempo breve, ma incredibilmente lungo per un’economia che viaggia ad alta velocità – la luna di miele è finita. E non lo pensano i disfattisti, gli ansiosi, o chi è contrario in partenza alle scelte del nuovo Presidente. Un grido d’allarme è venuto il 9 marzo da Warren Buffett, secondo uomo più ricco del mondo e consulente “informale” di Obama. Buffett ha chiesto al giovane Presidente di spostare l’attenzione da sanità, energia ed educazione sulla “guerra economica”.

Posizione immediatamente appoggiata dagli ex amministratori delegati di Intel e General Electric, Jack Welch e Andrew Grove, così come dal presidente della Federal Reserve Ben Bernanke. L’approccio obamiano del “tutto e subito” sta scontentando molti del suo stesso partito. Ma lui non è intenzionato a cambiare rotta, e invoca a sua difesa la costruzione della ferrovia transcontinentale voluta da Lincoln in piena guerra civile: “Non possiamo permetterci il lusso di scegliere quale sia il problema più importante”. La stessa filosofia espressa dalla Clinton con il concetto “mai sprecare una buona crisi”. Ma – scrivono Von Drehle e Scherer su Time – a volte una crisi è un’opportunità, ma altre è solo una crisi. E ora bisognerebbe ragionare in questi termini, un passo dopo l’altro.

Partendo dalle banche, perché solo così si può rientrare nel gioco della fiducia. Il programma di Obama, il suo budget, non sono alle prese con problemi “di numeri”, ma sono lo stesso in difficoltà. Perché – e qui si può scomodare John Maynard Keynes – in economia fanno la loro parte gli “spiriti animali”. Fiducia, convinzione, sicurezza, possono trasformare una depressione in un boom. Ma se mancano, non è così semplice resuscitarli. Perché si gioca nel campo dell’irrazionalità, e il dubbio, la paura e persino il panico sono emozioni che abbiamo visto spadroneggiare più di una volta nei mercati finanziari.

Una questione di fiducia, dunque: nelle banche e nell’Amministrazione. Per sentirsi sicuri gli americani hanno bisogno di credere di nuovo. Come ha commentato l’economista Mark Zandi, il piano di Obama per le banche è “too clever by half”: saccente, inutilmente complesso, e quindi inefficace. La creazione di elaborati incentivi per gli investitori privati dovrebbe servire a limitare i costi (politici ed economici) di una presa di controllo dello stato sulle banche.

Ma la soluzione più semplice, come dice Zandi, è far scendere in campo Zio Sam in persona per prendere il controllo, spazzare via i debiti e punire i cattivi? Beh, fuori di metafora, una politica economica decisa e incisiva, diretta, concentrata sulle banche per dare una sensazione di chiarezza sulle decisioni del breve periodo e per mettere a tacere i capricci di Washington e Wall Street, non ha grandi alternative.

Bisogna che l’Amministrazione si renda conto che la crisi non ha trasformato un sistema resistente al cambiamento in uno aperto a qualsiasi riforma. Anche Kennedy, prima delle battaglie per i diritti civili e le missioni spaziali, è dovuto venire a patti con la Baia dei Porci. Per il nuovo Presidente, il “pericolo rosso” non è tanto il comunismo, quanto i bilanci delle banche. Solo dopo si potrà mettere mano alle grandi riforme con cui Obama ha conquistato l’America.

Perché forse sarà troppo ambiziosa, ampia, complessa. Ma l’agenda di Obama ha un pregio enorme che a quella dei nostri politici manca: vuole fare della crisi un’opportunità per riformare davvero quello che non va. E anche se, tirando in ballo di nuovo Keynes, nel lungo periodo siamo tutti morti, una politica che guardi al futuro, che abbia ben chiaro il meccanismo da rimettere in moto tramite audaci riforme strutturali, sarà sempre da preferire all’immobilismo della bestia che sceglie di fingersi morta sperando che la crisi passi senza divorarla.

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