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Verso le elezioni

Per la salvezza nazionale

Ci avviamo ad una lunga e logorante campagna elettorale, da cui è probabile non esca nessun vincitore. C'è un briciolo di responsabilità in questa classe politica per evitare disastri irreparabili?

di Enrico Cisnetto - 31 agosto 2012

L’emergenza economica e finanziaria continua, e proietta sul sistema politico italiano che si prepara alle elezioni (fine novembre, febbraio o aprile che sia) una responsabilità senza precedenti. Infatti, lo spread rimane intorno ai 450 punti e non accenna a mollare la sua presa speculativa, pesando sul costo del debito pubblico (calmierato solo con la scelta, pericolosa, di spostare le nuove emissioni sui titoli a breve, meno onerosi) e sui bilanci delle imprese, perché l’eurosistema continua a trascinarsi in uno stallo che non promette niente di buono, nonostante gli sforzi di trarre motivi d’ottimismo dai tanti incontri (inutili) dei leader. A ciò si aggiunga il permanere di una recessione che sembra più propensa a stabilizzarsi che ad affievolirsi, con conseguenze sociali che cominciano a farsi sentire (caso Sulcis) e che fanno presagire un autunno caldissimo a fronte del quale certo non basta (anche se non guasta) l’auspicio di un rinnovato patto tra governo e parti sociali. Ora, se non si parte da questo assunto, e cioè che l’Italia non è affatto salva – anche se, occorre sempre ricordarlo, senza la discontinuità rappresentata dal governo Monti, la crisi sarebbe già precipitata – e che il nostro presente è carico d’incognite molto gravi, come per esempio essere costretti ad un ritorno alla lira (seppure ancorata all’euro con un sistema di cambio fisso all’interno di una banda di oscillazione), ebbene se non si è consapevoli fino in fondo dei rischi che corriamo, diventa difficile, per non dire impossibile, immaginare che alle prossime elezioni agli italiani venga proposta un’offerta politica adeguata alle circostanze. Il dibattito pubblico, infatti, è viziato, more solito, da un alto tasso di assuefazione che spinge le forze politiche esistenti a credere di poter sopravvivere riproponendo il vecchio schema bipolare della fallita Seconda Repubblica. Dimenticando con ciò che Monti è a palazzo Chigi proprio in virtù di quel fallimento (non solo del governo Berlusconi, ma di quel sistema politico nel suo complesso) e che non sono affatto venute meno, anzi, le ragioni che hanno determinato quella “discontinuità”. Si dice che la discussione in atto sulla legge elettorale rivelerebbe, invece, la consapevolezza che dopo Monti ci vorrà ancora Monti o qualcosa che gli somiglia, perché tutti sono consapevoli di non poter vincere. Può darsi che sia così, e che le interviste tipo quella di Bersani a Repubblica (vinciamo e governiamo) siano relegabili nello scaffale della pura propaganda. Ma è la mancata connessione tra lo stato della crisi (sulla quale manca uno straccio di analisi seria, da parte di tutti) e le scelte elettorali e post-elezioni che fanno dubitare. Perché se esistesse la necessaria consapevolezza sia dei pericoli che il Paese corre sia del livello minimo che la credibilità dei partiti e del vecchio sistema politico hanno raggiunto agli occhi degli italiani, e, di conseguenza, si capisse che la prossima legislatura altro non può essere che retta da una grande coalizione, si farebbero ben altri ragionamenti rispetto a quelli che circolano. Invece siamo di fronte a due scelte, entrambe errate. La prima è: facciamo una campagna elettorale basata sulla solita contrapposizione, e ce la giochiamo. Con un premio di maggioranza alto (o ancor di più con l’attuale alla Camera) chi è davanti supera il 51% e ci togliamo dalle scatole Monti e i suoi tecnici (che, per motivi diversi, sia Pdl che Pd considerano gli abbiano fatto perdere voti). Con Berlusconi in campo, è facile immaginare quale sarebbe la cifra di una simile tenzone. La seconda è: giochiamocela, ma siccome sappiamo improbabile che uno degli schieramenti vinca, faremo poi l’accordo perché costretti dalle circostanze. Nel primo caso s’illudono, perché sono pronto a scommettere che sia con un premio alto (per esempio il 15% di cui si parla) sia con l’attuale legge (Camera e Senato potrebbero avere risultati diversi), non si formerebbe comunque una maggioranza, tantomeno una solida e compatta capace di resistere nel tempo. Nel secondo caso sbagliano, perché la scelta della “grande coalizione” andrebbe fatta prima, offrendola al Paese come opzione politica voluta – che apprezzerebbe, anzi sarebbe l’unico modo per le forze politiche attuali di evitare la definitiva condanna degli elettori – e non come situazione subita e dunque fragile per definizione. Insomma, se ci fosse un briciolo di intelligenza e responsabilità, bisognerebbe dire agli italiani: la situazione è ancora grave, per cui vi risparmiano la solita campagna elettorale all’insegna dello sputtanamento reciproco e ci impegniamo a mettere insieme un programma di salvezza nazionale condiviso con cui chiedervi di evitare di astenervi o di votare Grillo. Ma c’è quel briciolo…?

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.