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Acoltando Napolitano

Pd vs Colle

Le parole del Quirinale sul Pd devono indurre i democratici alla ragionevolezza, abbandanando l'ipotesi Grillo.

di Davide Giacalone - 14 marzo 2013

Chi si dedica all’aritmetica parlamentare non solo non riesce a far tornare i conti, ma trascura il dato politico più rilevante: l’emergere dello scontro interno al Partito democratico e la rotta di collisione fra la segreteria di quel partito e il Quirinale. Tutta la manfrina degli otto punti e del pressante corteggiamento verso i parlamentari pentastellati si basa sul calcolo dei voti necessari ad assegnare le presidenze d’Aula, supponendo che un equilibrio di quel tipo possa poi figliare un governo. Ma è ragionamento d’infinita cecità politica, non avvertendo l’impossibilità che maggioranza istituzionali e governative possano mai reggersi sull’apporto determinante di chi non perde occasione per immaginare l’Italia fuori dall’euro.

Le parole di Giorgio Napolitano, alla vigilia di una partita decisiva, sono state avidamente lette con riferimento alle questioni giudiziarie. E’ una lettura piuttosto distratta, perché su quel fronte il presidente della Repubblica può chiedere prudenza ma non può praticare ingerenza. In ogni caso trovo fondate le sue osservazioni circa la cantata sulla scalinata, oltre che, naturalmente, il richiamo alla praticabilità democratica. Il passaggio più significativo, però, è un altro, ed è quello che fa scoppiare una bomba nel dibattito interno al Pd, ovvero quello in cui Napolitano ha definito il centro destra: “schieramento che è risultato secondo, a breve distanza dal primo”. Questa considerazione è ultronea, nel contesto in cui è inserita, giacché è evidente che la praticabilità democratica deve essere garantita a tutti, quale che sia la consistenza parlamentare di ciascuno. Quindi ha un senso più vasto. Anzi, ne ha due: 1. non si confondano le idee sostenendo che il M5S è il primo partito, dato che la legge elettorale contabilizza i raggruppamenti e il primo è quello di centro sinistra, ponendo quello di centro destra al secondo posto; 2. il richiamo alla “breve distanza” serve a ricordare il sostanziale pareggio, quindi la necessaria corresponsabilità politica nella gestione dei prossimi passaggi. Sarebbe uno sciocco chi pensasse che Napolitano abbia usato a caso le parole e i concetti, perché in quelli si trova un indirizzo chiaro. Si tratta di vedere come possa tradursi in pratica.

La vita politica (tutta la vita, per la verità, se condotta con la testa) è esercizio di realismo. Ciò significa che, in questa stagione particolare, il centro destra ha trovato nel Quirinale una sponda attenta. Vi si rimetta. Non con cieca fiducia, ma con ponderata convenienza. Il tempo delle consultazioni non sia disturbato da iniziative che forniscano pretesti agli sfasciacarrozze. Tanto più che sarà la sinistra a spaccarsi, ove il gruppo dirigente insista nella dissennata rincorsa dei frinenti. Il problema dell’Italia non è mica quello di trovare il modo di comporre un governo purché sia e il rischio che corre non è quello di vedere umiliato un Pier Luigi Bersani prono ai piedi del grillismo. Il problema è quello di non protrarre oltre la recessione e agguantare i mercati che crescono, verso i quali esportare, mentre il rischio è quello di schiantare un sistema produttivo oramai a secco di liquidità, nel mentre i concorrenti tedeschi si avvantaggiano di un servizio al loro debito (crescente assai più del nostro) fatto a costo zero. Per i problemi e i rischi illusori va bene la tattica bersaniana. Ma per quelli veri non serve a nulla, richiedendo la convergenza fra le forze pareggianti. Ciò può avvenire in forme diverse, rispetto alle quali il Quirinale è il solo ad avere filo da tessere. Certamente comporterà equivalenti amarezze, ma consegnerà, finalmente, un ruolo non distruttivo al morente bipolarismo.

Tale logica pone un dilemma enorme all’interno della sinistra, e del Pd in particolare. Non essendo escluso (anzi, essendo irresponsabilmente probabile) un ritorno alle urne, la sua non soluzione genererà rotture insanabili. Questa è la ragione per cui l’accordo non può essere né dipendente da chi esporrebbe l’Italia al rischio dell’esclusione dall’euro, né durare il solo tempo necessario per la riforma del sistema elettorale. La partita è assai più grossa. E se dal Pd taluno fa sapere che è pronto a votare l’arresto di Silvio Berlusconi non è il caso di farne elemento di ulteriore nervosismo, dato che tale grilleggiante prosa si trova nella mente e nella bocca di chi è fuori dal mondo della ragionevolezza, pronto a subire tutta la sgradevolezza autolesionista di simili spropositi.

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