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Superiamo i "gap culturali"

Paura del Nucleare?

Non lasciamo che i timori ci portino a una fuga dalla ragione

di Renato Angelo Ricci - 11 aprile 2011

L’entità dell’eventuale “disastro nucleare” di Fukushima, se valutata razionalmente con le sue possibili conseguenze e collocata nel contesto di un immane cataclisma che ha fatto decine di migliaia di vittime, non sarà tale da contribuire in maniera essenziale al bilancio drammatico di perdite umane e materiali dell’after day giapponese se non per la perdita di una frazione consistente di energia elettrica ,il che si è già fatto sentire a danno delle capacità produttive del Paese. E sarà grazie alle restanti centrali nucleari tuttora funzionanti (44), oltre al ricorso più massiccio alle fonti fossili soprattutto d’importazione, che l’approvvigionamento elettrico potrà essere reso disponibile per la ricostruzione.

Ripensamenti o pause di riflessione di carattere politico, oltre alle verifiche di carattere tecnico, saranno all’ordine del giorno ma, se pur ragionevoli ed opportune, non porteranno, io temo, a discussioni e a confronti che non siano dettati, oltre che da spinte emozionali, da specifici interessi e contrapposizioni politiche e ideologiche difficilmente conciliabili ,in particolare in un clima referendario come nel nostro Paese. Gli “stress-tests” atti a verificare e/o a migliorare gli standards di sicurezza (del resto già presenti nei reattori di ultima generazione), mentre rischiano di essere ridondanti per molti aspetti ,non saranno sufficienti a superare ancora una volta il “gap culturale” che sovrasta ogni discussione o valutazione del rischio nucleare.

Per quanto riguarda l’Italia la decisione governativa di una “moratoria” di un anno, che in sostanza sospende l’applicazione delle normative riguardanti l’installazione di centrali nucleari nel territorio nazionale, anche se opportuna, in sintonia con un certo clima europeo, a differenza di altri Paesi che già possiedono un parco nucleare (e difficilmente se ne priveranno) significherebbe ritardare,rischiando il “sine die”, un programma in partenza dopo 20 anni di attesa. Se a questa decisione non si accompagnasse anhe una sospensiva del referendum,non vedo con quale serenità e capacità razionale tale pausa di riflessione verrebbe affrontata. Torneremmo ai tempi di Chernobyl e addio decisioni ponderate.

Ragionevoli e puntuali argomentazioni sono state fatte anche in questa sede da autorevoli ed esperti colleghi almeno per spiegare che il caso Fukushima, a differenza di Chernobyl e anche di Three Mile Island,non è avvenuto per cause intinseche ma per cause esterne di gigantesche proporzioni, che tali impianti erano alquanto datati almeno per ciò che riguarda la protezione degli elementi ausiliari di emergenza non in grado di sostenere uno tsunami con onde di 12 metri, che già gli impianti tuttora in funzione in Europa e nel mondo, Giappone incluso, non hanno tali punti deboli (prova ne sia la resistenza all’ulteriore terremoto di grado superiore a 7 Richter) e che la terza generazione avanzata,che riguarda le centrali previste per il programma nucleare italiano, offre ancora maggiori garanzie.

Tutto ciò non basterà tuttavia per riportare il discorso sulla necessità dell’energia nucleare in un mondo che avrà sempre più fame di energia, perché vi sono due aspetti essenziali che precedono il dibattito energetico e sono di carattere squisitamente culturale. Il primo è che per una centrale nucleare, e praticamente solo per una centrale nucleare, si chiede che essa venga costruita a prova di qualsiasi evento esterno di qualsiasi natura e di qualsiasi dimensione esso sia (terremoti,maremoti,bombe,atti terroristici,cadute di meteoriti e quant’altro) senza riferimento a scale di misura o a ragionevoli previsioni.

Il secondo, che del resto subordina il primo, bè la vera chiave di volta di ogni ragionamento antinucleare: la paura delle radiazioni. Cui fa eco il leit-motiv, ripreso proprio da fior di intelletuali e opinionisti e sintetizzato dalla domanda: “Come si fa a non avere paura dell’atomo?” E qui sta il punto che non può essere affrontato se non come tema di grande attualità culturale.

In effetti il rischio e quindi la legittima paura, è percepito tanto più grande quanto più grande è l’ignoranza delle reali e misurabili conseguenze. E il caso della Radioattività è emblematico. E’ pertanto doveroso fare alcune considerazioni che, come fisico nucleare, mi permetto di enunciare. Il rapporto rischi/benefici, nel caso nucleare, viene completamente invertito: si sottostimano i vantaggi e se ne sopravvalutano i rischi.

E diventa difficile spiegare, per esempio che la radioattività è uno dei più semplici e meglio compresi agenti ambientali, molto meglio di altri agenti di origine industriale e agricola, e che il pericolo che ne può derivare è quantitativamente misurabile (e quindi prevenibile e controllabile) fino alle minime dosi contrariamente a ciò che accade per gas tossici ,inquinanti atmosferici, additivi chimici, emissioni da combustione fossile che pur perdurano nel tempo e non decadono con leggi ben precise come le radiazioni nucleari.

Il fatto è che il difetto di cultura scientifica adeguata (quanti sanno, per esempio che la radioattività naturale a Roma è più alta che a Tokyo?), lascia l’opinione pubblica nell’impressione che il rischio da radiazioni sia incommensurabilmente più elevato di quanto possa essere quantitativamente espresso dai dati scientifici. E’ ciò che sta accadendo e forse più da noi che in Giappone dove il rischio nucleare (ossia le radiazioni da fughe radioattive) è tuttora contenuto e si confronta realisticamente con l’immane disastro già avvenuto e palpabile le cui conseguenze nel tempo non sono misurabili né statisticamente ipotizzabili come lo sarebbero invece gli effetti da radiazioni. Ma resta la paura. Che, per dirla con Angelo Panebianco,diventa una fuga dalla ragione.

Renato Angelo Ricci
Professore Emerito Università di Padova
Presidente Associazione Galileo 2001 per la libertà e la dignità della Scienza

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