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Dall'accordo russo-ucraino ai problemi nazionali

Patto atomico bipartisan preventivo

La crisi del gas sia un campanello d’allarme in Italia, priva di una politica energetica

di Enrico Cisnetto - 04 gennaio 2006

La crisi del gas sarà anche finita, come recita il ministro Scajola scavalcando in ottimismo il commissario europeo Piebalgs che si occupa del problema – per il quale, giustamente, solo un accordo Russia-Ucraina benedetto da Ue e Usa può porre fine alle preoccupazioni – ma intanto ieri abbiamo subito un altro taglio alle forniture (nelle 24 ore precedenti le 6 del mattino) ed è partita la speculazione sul mercato del petrolio. Dalla Russia sono infatti arrivati 14 milioni di metri cubi in meno del richiesto (-19%), facendoci mancare il 4% del totale dei consumi nazionali, e portando a 32 milioni di metri cubi il “buco” da quando è scoppiato il caso Gazprom. Mentre sul fronte del greggio, si è interrotta la tendenza al ribasso che fortunatamente aveva caratterizzato l’ultima parte del 2005, tanto che ieri il barile è tornato a quota 62 dollari e facendo capire che non si lascerà sfuggire l’occasione di spremere un bel po’ di quattrini ai paesi consumatori. Insomma, un quadro non proprio tranquillizzante, visto anche che Putin continua a dire che non è successo niente (figuriamoci cosa accadrebbe se l’ineffabile presidente russo ammettesse qualcosa...), e pur considerando che nel corso della giornata le forniture sono riprese regolarmente.

Naturalmente, la speranza è che abbia ragione Scajola, e che comunque l’Eni sappia gestire il dossier con la stessa saggezza mostrata fin qui – a proposito, in termini di comunicazione con i cittadini Scaroni batte governo 3 a 0 – in modo che le conseguenze siano limitate. Ma, in tutti i casi, sarebbe delittuoso se lasciassimo cadere il discorso che in qualche modo è stato avviato sulla nostra politica energetica, buttandoci alle spalle l’ennesima emergenza. L’Italia, si sa, è un paese che reagisce soltanto di fronte alla paura. E quella di rimanere col tubo del gas vuoto, che riscalda le case e alimenta le cucine di quasi tutte le famiglie italiane, è una di quelle preoccupazioni che fanno sicuramente breccia. Dunque, approfittiamo per dire alcune verità che finora la politica non ha detto e che il Paese non si è voluto sentir dire. La prima delle quali è che da quasi due decenni manchiamo di una qualunque strategia in campo energetico, con la conseguenza che siamo per la quasi totalità del nostro fabbisogno dipendenti dall’estero. Il che ci costa caro sia in termini di bilancia commerciale sia sotto il profilo del livello dei rischi di approvvigionamento che corriamo. D’altra parte, basta guardare la cruda realtà dei numeri: il petrolio, che copre circa la metà del fabbisogno energetico nazionale (il 44,7%), viene quasi totalmente importato, mentre sul gas facciamo affidamento per ben un terzo dei consumi (34%) e dipendiamo in via esclusiva dall’estero. Nel 2004 su 10,04 milioni di tep (tonnellate equivalenti di petrolio) di energia elettrica che abbiamo consumato, ne sono state importate 10,2 milioni.

Seconda verità, conseguenza della prima, è che l’Italia ha bisogno di una nuova politica energetica. Diversificazione delle fonti, conversione a carbone delle vecchie centrali, completamento degli impianti di rigassificazione e soprattutto sviluppo del nucleare (anche in partnership con i paesi dell’Est). Serve un progetto Paese, definito dal sistema politico nella considerazione che una strategia di lungo termine, come quella per l’energia, per definizione scavalca le singole legislature e dunque abbisogna di accordi da “grande coalizione”. Nel nostro caso, poi, non è pensabile che un piano energetico nazionale sia vincolato alle ambigue alternanze del nostro bipolarismo “pendolare”.

Ma, anche questa è una verità che va detta al Paese, un accordo bipartisan come quello “inventato” nella scelta del nuovo Governatore della Banca d’Italia è assai difficile, per non dire impossibile, generarlo. Il futuro del Paese, infatti, implica riflessioni che né centro-destra né centro-sinistra sono capaci di fare, tanto meno in questa fase elettorale. L’opposizione è vittima delle proprie contraddizioni interne, divisa tra chi auspicherebbe il nucleare e chi rifiuta persino l’energia eolica. Mentre il governo è colpevole di aver scoperto la questione energetica solo ora – dopo cinque anni di legislatura trascorsa in totale disinteresse verso la materia (chiedere a Eni ed Enel) – quando il rilancio del nucleare ha solo il sapore di una provocazione elettorale. Ma questo non significa che un “patto atomico” serio, i riformisti dei due poli non debbano provare a sottoscriverlo. Ora.

Pubblicato sul Messaggero, il 4 gennaio 2006

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