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Dal taglio delle province al porcellum

Parole, parole, parole

Le riforme, anche quelle condivise, sono bloccate da veti e interessi. Regna il principio del “quieta non movere”

di Gaetano D'Ambrosio - 12 novembre 2013

Nel marzo del 1981 a Bologna durante i lavori del Congresso Nazionale dell’”UNCEM” (Unione Nazionale Comuni ed Enti Montani), in qualità di Presidente della “Comunità Montana Vallo di Lauro e Baianese”, nel mio intervento, presente l’On.le Virginio Rognoni, Ministro dell’interno p.t. , formulai una proposta per la riorganizzazione degli Enti Istituzionali Territoriali dello Stato Italiano.

Essa prevedeva la riduzione del numero delle Province con la eliminazione di tutti gli altri enti intermedi: Autorità di bacino, Consorzi, Comprensori e Comunità Montane ecc., con la contestuale attribuzione delle loro competenze alle Province, così come ristrutturate, con la possibilità della elezione indiretta dei rispettivi componenti. La proposta, come formulata, suscitò sorprese e sconcerto, specie perché proveniente da un Presidente di una Comunità Montana in carica, per la conseguenza della perdita delle relative poltrone. Lo stesso Rognoni, Ministro dell’Interno nella cui competenza rientravano gli Enti Territoriali, mi espresse qualche riserva affermando che la proposta, pur pregevole, aveva il difetto di anticipare enormemente i tempi.

In seguito, in varie occasioni, ho riformulato la mia proposta facendo approvare, come componente del Direttivo Regionale dell’ANCI, nella qualità di Sindaco di Sarno, un “ordine del giorno” che ne recepiva i contenuti, oltre a presentare una piattaforma, con la collaborazione di Vincenzo Improta, per la costituzione delle città metropolitane. Ma di fronte alla necessità di conservare i “vari cadegrini” per appagare la spasmodica bramosia di potere, quasi mai legittima ed opportuna, non si è realizzata alcuna riforma. L’editoriale di Ernesto Mazzetti sul “Corriere del Mezzogiorno” del 02/11/13 mi ha sollecitato qualche puntuale riflessione, in particolare per la totale condivisione che “troppi abiti finiscono per nuocer” e per “le riforme e i tagli mai compiuti”. Oggi la precarietà del Bilancio dello Stato Italiano, che si aggrava sempre più anche per la crisi generale in Europa e nel mondo, costringe i politici (si fa per dire) a porre la questione in primo piano nell’intento di arrivare a una possibile sostanziosa riduzione delle spese. Ma, come quasi sempre, si procede a modo di gambero; un provvedimento che si potrebbe varare sulla scia della mia proposta, con una semplice legge ordinaria, senza ricorrere ad alcuna modifica della Carta Costituzionale, viene demandato alla Commissione dei cd. saggi per la più generale riforma della Costituzione, con aggravio di tempi e discussioni oziose.

Ho la sensazione che non vi è alcuna seria volontà di realizzare cose possibili, come pure il varo della riforma della legge elettorale, cd. “porcellum”. L’attuale classe politica, malgrado qualche eccellente eccezione, si prodiga solo a mantenere lo “statu quo”, e pur di andare avanti per inerzia ed attuare il principio della “quieta non movere”, si lascia andare tutti i giorni a “parole, parole, parole, soltanto parole tra noi”, lasciandosi trastullare, alcune volte, con la musica del maestro G. Ferrio e la magica voce di Mina, anche con l’adagio “non cambi mai, non cambi mai, non cambi mai”.

E’ augurabile, perciò, una “rivoluzione culturale” del popolo elettore. Ne saranno capaci gli italiani? Ne dubito, anche se lo spero.

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