ultimora
Public Policy

L'attentato ad Adinolfi

Parole lucide

La rivendicazione della gambizzazione all'ad di Ansaldo Nucleare

di Davide Giacalone - 12 maggio 2012

Nessuno creda che quelle siano le parole di un folle. La rivendicazione della gambizzazione di Roberto Adinolfi è lucida, ha senso logico, individua interlocutori e disegna un percorso politico. Vanno fermati, e per fermarli è necessaria consapevolezza del pericolo e mano ferma. Proprio questo rende ancor più devastante il silenzio istituzionale seguito a quello sparo genovese. Rende più spaventoso il vuoto di mobilitazione culturale e politica. Non un leader politico si è recato a trovare il ferito. Non un governante. Non il presidente della Repubblica. Si è anche celebrata la giornata delle vittime del terrorismo, riuscendo a non esprimere la solidarietà verso Adinolfi, piuttosto ripiegando verso una retorica che echeggia nel nulla: i terroristi non devono tornare, sono dei perdenti. Verissimo, ma davanti a quella pistola le istituzioni si sono squagliate. La nostra memoria duole, vede le similitudini, quindi torniamo al documento e non distraiamoci. Fai/Fri, sigla che rivendica l’attentato, sta per: “Federazione anarchica informale/Fronte rivoluzionario internazionale”. L’obiettivo era simbolico, ma l’interlocutore è interno al movimento anarchico, a quel ribollire di rozzo antagonismo la cui verbosità è pari alla radicale fantasiosità del modo in cui s’interpreta la realtà. Chi ha sparato e scritto voleva dire a quegli altri del movimento, che disprezza: noi agiamo, noi abbiamo coraggio, non ci limitiamo al mugugno. E’ una partita interna a quel mondo. La qual cosa non deve rassicurare, perché il terrorismo comunista degli anni settanta e ottanta nacque come partita interna al mondo che riteneva tradita la leggendaria lotta partigiana (quanti guasti e quanti morti fanno le favole, raccontate al posto della storia!). Fu una partenogenesi, al punto da mutuarne anche i legami internazionali. Non si sospiri di sollievo, quindi, per il solo fatto che quelle pagine trasudano rabbia più per i propri compagni che per l’obiettivo colpito.

Quello ha un ruolo simbolico, da prendere con molta serietà, anche perché è proprio il punto su cui la reazione istituzionale e politica ha fatto registrare un’intollerabile cilecca. La simbologia è duplice: il nucleare e Finmeccanica. La prima immaginata come tecnologia di morte, secondo un codice culturale di tale infima qualità che neanche il più bifolco lobbista dei petroli oserebbe utilizzare. Qui apro una parentesi: la penso come Adinolfi, compreso il fatto che la tecnologia nucleare per produzione d’energia elettrica è fra le più pulite, certamente meno inquinante del bruciare fossili e responsabile di un numero di morti accidentali e devastazioni ambientali di gran lunga inferiore a tutte le altre fonti massicciamente utilizzate; tale punto di vista s’è dimostrato largamente minoritario, in Italia, dove la suggestione antinuclearista domina i sogni collettivi, così come pesa sul presente della bollettazione e sul futuro energetico; posto ciò non solo considero le tesi della rivendicazioni delle ripetizioni a pappagallo di roba mal letta e mai digerita, ma non cedo alla provocazione di far credere che di quella pasta sono fatti tutti quelli che rimasticano luoghi comuni antiscentifici. Si può essere nuclearisti senza essere servi di nessuno, e antinuclearisti senza in nulla condividere le tesi di questi delinquenti. Torniamo ai simboli. Che Finmeccanica sia gruppo importante nella tecnologia militare, per ciò stesso esecrabile, o che il nucleare sia tecnologia con la quale è bene non sporcarsi le mani, ma neanche la lingua, è cosa che scrive il rivendicatore, ma, in fondo, la pensano in tanti. La pensano, o la vivono senza neanche essere capaci di pensarla, quelle figure politiche e istituzionali che non hanno manifestato solidarietà ad Adinolfi e hanno sperato, sotto sotto, che le indagini portassero dritto a qualche mafia dell’est, magari incavolata per il mancato versamento di una zozza tangente. Qui è la falla culturale e la viltà collettiva, la stessa che portò a non mobilitarsi quando le Brigate Rosse sparavano ai dirigenti di reparto, nelle grandi fabbriche. Anche loro vittime pensate come colpevoli. Non a caso ancora si ricorda l’assassinio di un sindacalista (Guido Rossa) come il punto di svolta che rese massiccia la reazione. Salvo che nel ricordarlo ancora non si riesce a chiarirne la vergognosa natura, come se gli altri se lo fossero meritato. No, quelle non solo le parole di un pazzo, quel testo è stato scritto da un criminale, che va arrestato e punito con tutti i complici. Ma occorre che lo leggano e lo capiscono i troppi che hanno fin qui taciuto. Noi manifestammo subito la solidarietà ad Adinolfi, che rinnoviamo con l’augurio di pronta guarigione.

Social feed




documenti

Test

chi siamo

Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.