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Per agganciare la ripresa

Parola d'ordine: innovazione

Le nostre aziende fanno fatica a reggere la concorrenza. Innovare per crescere sui mercati esteri

di Enrico Cisnetto - 03 marzo 2014

Lo spread non è mai, né quando sale né quando scende, la spia della congiuntura politica interna. Tuttavia i livelli delle ultime settimane riflettono la buona predisposizione che i mercati finanziari hanno verso il “rischio Italia”, e più in generale le notevoli aspettative maturate verso l’esperimento Renzi da parte degli investitori internazionali.

In giro c’è enorme liquidità, e chi muove i grandi capitali vede nella decisione della Federal Reserve di ridurre gradualmente gli stimoli monetari un buon motivo per disinvestire dai mercati emergenti e, con una consistente rotazione di portafoglio, spostarsi verso paesi come l’Italia che, nell’Eurozona tenuta sotto sedativo dalla Bce di Draghi, diventano un buon target sia per i fondi a caccia di rendimenti sia per l’equity a caccia di aziende da comprare e business da finanziare. Guai, dunque, a farci scappare l’occasione di “sentiment” così positivi, dopo 4 anni di recessione (sugli ultimi sei) e un periodo buio di depressione collettiva. Il Paese ha voglia di rialzarsi e riprendere prima a camminare e poi a correre, e a torto o ragione ha la sensazione che Renzi sia l’uomo giusto al posto giusto nel momento giusto. E questo vale, in particolare, per gli imprenditori.

Per riuscire a cogliere l’attimo, però, occorre avere consapevolezza dell’effettivo stato di salute del nostro esercito produttivo e da quella farne discendere precise scelte di politica economica e industriale. Se sono vere, e io credo che lo siano, le stime del Censis, le imprese italiane sopravissute non sono ancora uscite dalla crisi: il 31,5% si trova in una fase di ridimensionamento, il 52,1% di stazionarietà e solo il 16,4% è in crescita.

Tuttavia, una buona parte del tessuto produttivo ha avviato processi di riorganizzazione – solo il 21,4% delle aziende con oltre 20 addetti è rimasto inerte – anche se i tentativi di innovazione si sono spesso accompagnati a dolorosi processi di ristrutturazione aziendale. Secondo un’indagine Istat, se tra il 2010 e il 2013 la quota delle aziende che ha aumentato il fatturato si ferma al 51% è colpa del magro bottino ottenuto sul mercato interno, dove hanno riscosso un guadagno solo il 39% delle imprese. Ecco perché l’Istat divide le imprese in quattro classi: le “vincenti”, quelle con vendite in positivo sia in Italia che all’estero (sono 4.600, il 18,1% del totale); le “crescenti all’estero”, che crescono sui mercati stranieri ma calano in Italia (sono 8.500, il 33%); le “crescenti in Italia”, che registrano rialzi esclusivamente sul mercato interno (sono solo 3.400, il 13,3%); quelle “in ripiegamento”, che sono in difficoltà dappertutto (sono il gruppo più numeroso: 9.100, il 35,6%). A questo si aggiunga che un’azienda su 3 ha un indebitamento superiore al patrimonio netto, e per il 38% il debito è superiore ai mezzi propri (ricerca condotta da Ria Grant Thornton su un campione di 60 mila aziende).

Insomma, il sistema produttivo italiano evidenzia fenomeni di propensione all’innovazione e di crescita abbastanza intensi, ma ha subito un deterioramento che non lascia pensare a una significativa capacità di ripresa. Per questo occorre dirottare tutte le risorse possibili verso investimenti che vadano a sostenere quel che c’è e a riempire i vuoti – misurabili in circa il 25% della capacità produttiva ante 2008 – creati dalla crisi. Vogliamo cominciare a fare sul serio, già che finalmente tira una buona aria? (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.