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Vecchi dati per il nuovo Governo

Paradosso delle garanzie

I dati Eurostat devono servire a Monti per muoversi al meglio sulle questioni del lavoro e del fisco

di Davide Giacalone - 28 febbraio 2012

Ecco il paradosso delle garanzie: i garantiti sono poveri e i non garantiti abbandonati. I dati Eurostat non ci dicono nulla di nuovo, lo sapevamo già e lo commentiamo ogni anno, quando guardiamo i risultati delle dichiarazioni dei redditi. Il nostro è un Paese fra i più ricchi, con famiglie altamente patrimonializzate e con i familiari poveri. Anche i ricchi appaiono poveri, dalle nostre parti. Pur non nuovi, però, quei dati arrivano a fagiolo per porre due questioni ineludibili, sulle quali il governo Monti può fare presto e bene: la questione del lavoro e quella del fisco. Le garanzie e le tasse ci hanno resi deboli. La spesa pubblica ci ha drogati. E’ ora di passare alla disintossicazione. La terapia Fornero è convincente, si proceda speditamente.

Non si sottovalutino le preoccupazioni di Corrado Passera e il continuo richiamo al necessario consenso, perché la democrazia consiste proprio in quello. Ma neanche si sprechi l’occasione della crisi, l’acquisita consapevolezza generale. E non si confonda il consenso né con i sondaggi né con la concertazione sindacale, perché la gran parte di quelle sigle non rappresenta il mondo del lavoro. C’è bisogno di una rottura. Questo è il momento giusto. Sono anni che ripetiamo la critica agli ammortizzatori sociali esistenti. Abbiamo duramente ripreso le parole del governo Berlusconi, quando assicurava che quei meccanismi avevano funzionato e i disoccupati, da noi, non erano aumentati come altrove. Lo facevamo non per vizio ideologico (l’unico che c’è estraneo), ma perché i costi di quell’immobilità si sarebbero abbattuti sulla collettività. Come avviene. Si rifletta su un punto: un Paese che ha bassi salari dovrebbe avere alta occupazione, invece noi abbiamo salari bassi, bassa produttività e alta inoccupazione (data dalla disoccupazione più i tanti che neanche cercano di lavorare). Per rimediare si deve agire sulla legislazione del lavoro, puntando alla difesa dell’interesse collettivo e superando quello corporativo. Ma non basta, si deve agire anche sulla leva fiscale, diminuendo una pressione intollerabile.

Si può farlo. La prima cosa perché la fascia degli esclusi è oramai più ampia di quella dei protetti, comunque colpiti dalla crisi. La seconda perché la ripresa passa dalla rottura della maledizione secondo cui il prelievo insegue la spesa, allo scopo di non aumentare il debito. Si proceda al contrario: abbattendo il debito (con dismissioni), tagliando la spesa (largamente improduttiva anche solo di servizi) e, quindi, tagliando le tasse. Il dibattito politico degli ultimi lustri è stato così avvilente e inconcludente da indurre la convinzione che qualsiasi cosa sia migliore. Ma non è così. Guardate l’insieme delle misure che vengono proposte e varate e cercatene il filo conduttore. Lo trovate in quel che avvertivamo solitari e che è stato riproposto nelle parole di Mario Draghi: il modello di welfare, che rispecchia un modello di società, non è più sostenibile. Per porre rimedio non basta approntare tagli, mentre agire sul lato delle tasse, aumentandole, produce un fossato recessivo che continuerà a risucchiarci anche quando, nel 2013, la ripresa renderà positivo l’andamento del prodotto interno lordo, ma in misura inferiore a quella degli altri.

Rimediare significa rimodellare. Significa ridurre la dimensione dello Stato, al tempo stesso rendendolo forte là dove serve: sicurezza, giustizia, controlli. Lasciare più spazio al mercato, anche nel welfare, costruendo più Stato nell’amministrazione della legalità. Significa riscrivere il patto sociale, fare i conti con un mercato del lavoro troppo rigido, con mercati dei capitali asfittici, con costi troppo alti sulle spalle dei produttori. Cose che non possono essere fatte fuori dalle regole democratiche, se non mettendo in conto la demolizione della democrazia. Il governo Monti ha compiuto diversi passi falsi: l’annuncio di un fondo per gli sgravi fiscali, salvo poi sostenere che non si devono alimentare illusioni e cancellarlo; l’annuncio di liberalizzazioni che non erano del tutto tali, salvo poi dovere ammettere che l’autorità nazionale per le licenze taxi era una corbelleria; l’annuncio dell’Imu sugli immobili ecclesiastici commerciali, salvo poi ripiegare sulle esenzioni, come prima. Nessuno è immune da errori. Ma su lavoro e fisco gioca il proprio ruolo. E’ qui che ha il dovere di mettere le forze politiche davanti alle loro responsabilità: aiutare a procedere, modificando la natura del contratto sociale, o avere paura, puntare i piedi ed essere travolte. La parentesi commissariale non deve chiudersi senza avere affrontato questi nodi. Il prezzo del fallimento è troppo alto.

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