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Come superare l’inferno (della recessione)?

Paradisi fiscali e nuovo scudo

Urge attivare degli <i>stimulus</i> per risollevare l’economia e di ristabilire un nuovo <i>legal standard</i>

di Enrico Cisnetto - 06 aprile 2009

Come superare l’inferno (della recessione) abolendo il paradiso (fiscale)? Come trovare, cioè, nuove risorse per rimettere in moto l’economia senza far aumentare l’esborso dello Stato, approfittando della recente “mini-rivoluzione” sulla fiscalità internazionale decisa al G20 londinese? La soluzione c’è, e deriva proprio dall’abolizione dei “tax havens”, i 38 paesi offshore ormai messi al bando e finiti in una lista che, a seconda della impenetrabilità alle autorità fiscali straniere, è grigia o decisamente nera.

Cosa ne sarà dei denari che sottraggono circa 7.000 miliardi di dollari di “gettito mondiale” all’anno? In particolare, come si comporteranno gli italiani che si sono affidati alle tante banche che hanno canalizzato all’estero utili aziendali e risparmi individuali – Citigroup possiede da sola 427 sussidiarie nei paesi off-shore, Bank of America 115 e Morgan Stanley 273 – cercheranno disperatamente qualche investimento meno “scoperto” di altri o preferiranno far ritrovare ai loro soldi la via di casa?

Non sappiamo se sia vero, come si vocifera, che il Governo abbia allo studio il progetto di un possibile nuovo “scudo fiscale”, ma è lecito domandarsi quale momento migliore di questo ci possa essere per recuperare risorse che i più pessimisti stimano in 100 miliardi di euro e gli ottimisti il doppio. Dunque, non ci sarebbe nulla di scandaloso – anzi – se a seguito della scomparsa dei paradisi fiscali si decidesse di consentire il rientro in forma anonima delle attività finanziarie impiegate in centri offshore, previo il pagamento di una “tassa di ingresso” e magari a condizione che siano reinvestiti sul territorio nazionale nelle imprese o nell’acquisto di particolari categorie di emissioni pubbliche.

Fino a qualche giorno fa si sarebbe trattato di un semplice condono, di un’erogazione di un’indulgenza alla quale non corrispondeva una sanzione futura; oggi, invece, con la storica decisione presa a Londra, abbiamo un nuovo quadro normativo e sanzionatorio. Siamo, se ci pensiamo bene, nella stessa identica situazione del 1976. Allora, con uno scenario di crisi economica fortissima e fughe di capitali diffuse, il Parlamento, con un’iniziativa largamente bipartisan, arrivò a introdurre la famosa 159, che trasformava l’esportazione di capitali da reato amministrativo a reato penale, e al contempo lanciava una sanatoria straordinaria per il rientro dei capitali.

Oggi possiamo pensare ad un’iniziativa analoga, naturalmente aggiornata al paradigma della globalizzazione. Così, a dettare un nuovo quadro normativo internazionale in materia sarà l’Ocse, mentre il Parlamento italiano dovrà invece attivarsi su un provvedimento finalizzato a rimettere in circolo una massa critica di liquidità di cui vi è estremo bisogno. Naturalmente, c’è una condizione fondamentale perché una simile operazione sia accettabile a livello etico: che tutto ciò non comporti alcuna sanatoria o “assoluzione” per eventuali altri reati commessi da cittadini italiani e collegati alle violazioni fiscali.

Se anche questa condizione verrà rispettata, il nuovo “scudo fiscale” potrà trovare una sintesi più che virtuosa tra due esigenze ugualmente urgenti: attivare degli “stimulus” a un’economia che rischia di veder regredire il pil del 5%, e quella, non meno importante, di ristabilire quel nuovo “legal standard” che giustamente sta così a cuore al ministro Tremonti.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.