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Verso il 2013

Pagliuzza elettorale e trave politica

Se ad aprile non vincerà nessuno, la colpa sarà di un'offerta politica del tutto priva di credibilità

di Enrico Cisnetto - 10 novembre 2012

Vogliamo dirlo senza ipocrisia? Dopo il voto siciliano, semmai ce ne fosse stato bisogno, la questione della legge elettorale e della sua eventuale riforma è diventata marginale, per non dire del tutto ininfluente. Si dice: dobbiamo modificare le modalità di conteggio dei voti per assicurare la governabilità. Bene. Ma che si vuole fare, assicurare al primo partito o alla maggiore delle coalizioni un premio in seggi tale da garantire comunque la maggioranza tanto alla Camera quanto al Senato? La cosa buffa è che chi sostiene questa tesi è di solito lo stesso che usa epiteti irripetibili per descrivere l’attuale legge elettorale. La quale ha appunto come sua caratteristica fondamentale quella di assicurare comunque una maggioranza alla Camera.

Obbietta il professor D’Alimonte: ma rispetto al Porcellum si dovrebbe fissare una soglia minima, per esempio il 40%, che occorre raggiungere per avere diritto al premio che porta a varcare la soglia del 51%. Il che renderebbe meno indecente ciò che decente proprio non è. Bene, fermo restando che occorre modificare le modalità del Senato, altrimenti accade che si raggiunge la maggioranza solo alla Camera ed è tutto inutile. Ma il tema politico è: ci sono partiti o coalizioni che sono in grado di raggiungere il 40%? La risposta è semplice: se si prende il voto – e soprattutto l’astensione – in Sicilia come parametro, è escluso che quella soglia venga raggiunta. Ribatte sempre D’Alimonte: basterebbe che l’Udc si alleasse con il Pd ed ecco che al 40% ci arrivano. Ammesso e non concesso che Casini che abbia questa intenzione, peccato che nel frattempo i democratici abbiano convocato primarie di coalizione con Sel e questo o blocca l’Udc o la espone a perdere voti se dovesse aderire. Nell’uno come nell’altro caso, l’ipotesi evocata non si verifica. E in Sicilia con Crocetta non sono arrivati a fare maggioranza, tanto che ora sono costretti a trattare per avere i voti che gli mancano.

Lo stesso D’Alimonte, cosciente del problema, aggiunge una postilla: diamo un premio (di consolazione) del 10% al partito maggiore in modo da favorire le aggregazioni. Va bene, ma sempre di accordi post elezioni stiamo parlando. Il che significa che cade il pilastro su cui si basa il bipolarismo, e cioè che una delle due coalizioni vinca e non ci sia bisogno di aggregazioni parlamentari successive. Delle quali non c’è nulla di cui vergognarsi, ma sono proprio i soloni cantori dello schema politico bipolare a indicarle come il male assoluto. Dunque, caro D’Alimonte, perché evocare il complotto contro il centro-sinistra per impedirgli di vincere? Come in Sicilia, è il centro-sinistra che non riesce ad essere maggioranza. È, questo sì, avanti al centro-destra – ormai spappolato e in preda alle convulsioni senili del suo padrone, che considera cani che gli si sono rivoltati contro i pretoriani che lui stesso si è allevato – ma ciò non significa che abbia i consensi necessari per vincere davvero.

Insomma, riforma o meno, non è la legge elettorale a creare le condizioni perché sia sin d’ora prevedibile un nulla di fatto alle prossime politiche, ma è la debolezza dell’offerta politica che induce la domanda (gli elettori) a esprimere la propria insofferenza – attraverso l’astensione o il voto a Grillo – in modo così massiccio da rendere impossibile la vittoria di chiunque. Per questo appare del tutto fuori luogo la polemica di questi giorni circa il venir meno della democrazia in Italia per il solo fatto che appare prevedibile il risultato il urne e la sua conseguenza, cioè il ritorno di un governo guidato da Mario Monti. E peggio ancora è l’idea che ci sia una trama “demopluto…” che attraverso la legge elettorale costruisce a tavolino le condizioni di un Monti bis. Togliamocelo dalla testa: se ad aprile prossimo non ci sarà una maggioranza la colpa non sarà di nessun altro se non dei partiti che non avranno saputo riconquistare gli italiani, e della società civile se – come sembra – non sarà stata capace di esprimere un soggetto politico e degli uomini all’altezza della sfida. Smettiamola dunque di occuparci di ingegneria elettorale e affrontiamo il toro per le corna. Il vero problema è recuperare i potenziali astensionisti e bloccare il deflusso di voti verso il 5 stelle, non creare alchimie sulla legge elettorale che peraltro sono destinate ad essere inutili.

Le novità sono una rediviva Forza Italia con Berlusconi, sua figlia e qualche improbabile rampante di provincia che si è montato la testa? Sono un Pdl senza fondatore, anzi con lui contro? Sono il Pd che magicamente vorrebbe tenere insieme dalla sinistra estrema all’Udc illudendosi che non gli capiti quello che successe a Prodi nel 2006? E fuori dal recinto dei partiti esistenti, quale credibilità hanno forze che prima ancora di nascere hanno mostrato di essere già preda di convulsioni intestine? Se è con tutto ciò che si pensa di affrontare le elezioni, meglio pregare fin da subito Monti di lasciare i suoi effetti personali a palazzo Chigi.

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