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È ora di uscire dalla situazione di stallo

Paese non può permettersi di aspettare

Urge una nuova maggioranza per superare il caos

di Enrico Cisnetto - 05 luglio 2010

I magistrati che scioperano per la pagnotta, dimenticando che lavorano poco e male. I giornalisti che protestano, in nome di una libertà che non sempre è loro cara. La manovra finanziaria che una volta approvata si vuole riscrivere, e non certo solo su pressione dei governatori regionali di centro-sinistra.

La legge sulle intercettazioni che è causa di cortocircuito istituzionale e di una rottura politica interna al pdl ormai insanabile, e sembra il primo se non l’unico interesse che la politica sappia esprimere. Le nomine a ministri che diventano soap opera. Le Camere che ormai non producono più nulla, e il Governo che non ha una linea su niente, e quando esiste non è unitaria. La lotta politica che è esclusivamente ricondotta entro il perimetro della maggioranza di centro-destra, e divora non solo il “non partito” di Berlusconi ma anche – ed è una novità significativa, destinata ad essere gravida di conseguenze – la Lega, dove il caso Brancher ha scoperchiato un verminaio.

Il tutto mentre i problemi del paese, quelli strutturali ma anche i più elementari e quotidiani, marciscono senza trovare mai una soluzione, e gli italiani – a cominciare da coloro che hanno sostenuto il Cavaliere e i suoi governi – non ne possono più di un “fine regime” che si protrae oltre ogni limite e ragionevolezza. Così, davvero, non si può più andare avanti.

Già, ma se le cose stanno proprio così – e anche peggio, se è per questo, perché a questo flash mancano moltissimi elementi che ho tralasciato per brevità e anche per evitare lo scoramento mio e dei lettori – se sullo stato di decozione e decomposizione della politica e delle istituzioni, se sul rischio di tenuta dello stesso tessuto democratico non ci sono più dubbi, le domande che sorgono spontanee sono: fino a che punto ci si spingerà? Quanto potrà durare? E, soprattutto, che sbocco avrà questa situazione? Andiamo con ordine.

Il primo problema è capire quali sono i limiti oltre i quali una democrazia da malata diviene comatosa, e poi quando il coma può essere giudicato reversibile, e infine se e quando rischia di morire. La mia impressione è che la nostra democrazia sia entrata in quella fase della patologia che i medici definiscono caratterizzata da un “multi organ failure”, quando cioè il malfunzionamento di un organo o apparato (in questo caso lo Stato) finisce per influenzare il funzionamento degli altri fino all’instaurarsi di un circolo vizioso nel quale è difficile stabilire dove iniziare ad agire. Qualcuno sostiene che ci troviamo a vivere una sorta di “fascismo post-moderno”. Possibile.

Ma ciò che più mi preoccupa è il “che fare”. Forse per decidere da che parte cominciare, bisognerebbe risalire alla causa scatenante iniziale di questa malattia della democrazia italica. Sappiamo che la sinistra giustizialista risponde a questo quesito con la più facile delle risposte: Berlusconi. Ma chi ha sempre ragionato con la testa anziché con la pancia sa bene che il Cavaliere e il suo “berlusconismo” sono la conseguenza, non la causa. Allora bisogna risalire al 1992, a Tangentopoli e all’antipolitica che l’operazione Mani Pulite ha scatenato e di cui al tempo stesso si è alimentata. Ma se è vero che la stagione 1992-94 fu un’aberrazione che ha finito per scatenare una reazione a catena e, probabilmente è stato anche il momento in cui si è scompensato l’organo della giustizia che a sua volta ha innescato la “sindrome multi-organo”, non meno vero è che già in precedenza la società italiana era impregnata dell’humus di cui è impastata la Seconda Repubblica.

Diciamo che sopratutto negli anni Ottanta le difese immunitarie del Paese erano di molto state minate, e siccome l’organismo non era di per sé robusto – l’idea che il potere serva essenzialmente per dare e ricevere protezione è nel dna. Il che rende ancora più complicato il tentativo di risalire alle cause primarie della situazione odierna, o se si vuole rende assai arduo il tentativo di porci rimedio.

Questo non significa che non occorra reagire. Dico solo che è difficile che gli anticorpi stiano dentro la società, se non in alcune enclave. Dunque, occorre che sia la politica a provarci. Naturalmente mi riferisco a quelle aree e a quei singoli che tengono alla decenza e ancora conservano un minimo di lucidità. Pannella dice “qui può succedere di tutto”, e ha ragione. Proprio per questo bisogna che si esca dalla palude di un logoramento senza padri per aprire una discussione pubblica sul da farsi.

Berlusconi ha capito che il ricatto delle elezioni anticipate non funziona più. Primo perché le ha già minacciate inutilmente due volte nel corso della legislatura, e secondo perché non è più detto come prima che le vincerebbe. Ora o riesce ad ottenerle sul serio – il che significa farsi votare una “sfiducia finalizzata” in parlamento – o rimane impantanato nelle sabbie mobili che lui stesso ha primariamente contribuito a far diventare pericolose. Se non ci prova è fregato. Se ci prova e non ci riesce è fallito. Se ci prova e ci riesce, deve vincere, e non è detto. Certo, lo so, il Cavaliere è un osso duro, vende cara la pelle e ci ha abituato a recuperi insperati. Ma per molte circostanze, personali e politiche, penso che questa volta sia diverso. In ogni caso, il Paese non può permettersi di aspettare.

E siccome le elezioni non sono una soluzione – considerato che se Berlusconi le dovesse vincere (come nelle ultime regionali: perdendo voti ma stando avanti in termini percentuali) saremmo punto e a capo e se dovesse perderle non sapremmo a favore di chi, visto che un’alternativa elettoralmente intesa non c’è né si profila all’orizzonte – non rimane che trovare una soluzione politico-parlamentare. Alcune personalità, Casini in testa, possono e debbono prendere l’iniziativa. Lo facciano senza indugio.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.