ultimora
Public Policy
  • Home » 
  • Archivio » 
  • Ottimismo gratuito e prêt-à-porter

L’illusione data da un rigore in più segnato

Ottimismo gratuito e prêt-à-porter

E poi perché i campioni del mondo dovrebbero avere una crescita economica maggiore?

di Enrico Cisnetto - 17 luglio 2006

Era il 7 settembre del 2002 quando l’allora premier Berlusconi, inaugurando la Fiera del Levante, cominciò a spargere ottimismo sull’economia italiana, parlando di un quadro per nulla preoccupante. Da allora il Cavaliere insistette, attirandosi gli strali dell’opposizione e del sindacato. Oggi, con la sbornia della vittoria al Mondiale che non è ancora passata e qualche buon dato congiunturale, la situazione si sta ripetendo a parti invertite, con Prodi che nel “mettere la firma” sul successo della Nazionale finisce per imitare il Cavaliere. Ora, a parte l’inutile querelle sull’effetto-crescita che si avrebbe nei paesi che vincono la Coppa del Mondo (aspettiamo e vediamo), mi sembra che questa nuova profusione di ottimismo prêt-à-porter sia non meno ingiustificata e pericolosa di quella berlusconiana. Anzi, ancor più preoccupante visto che anche prestigiosi esponenti del mondo industriale – da Vittorio Merloni a Mario Preve della Riso Gallo – piuttosto che opinionisti di talento – da Giacomo Vaciago a Giampolo Fabris – parlano di rilancio di consumi, export e investimenti. Ma, a parte il fatto che già la sentenza su Calciopoli è tornata a divedere, rendendo effimera la sociologia della “Italia ritrovata”, un’ubriacatura di ottimismo rischia di avviare un processo di rimozione collettiva - più di quanto già non sia - sul reale stato di salute del Paese. Intendiamoci, il sistema industriale dà segni di risveglio (basti pensare al balzo del 94% del settore auto) e anche di salutare trasformazione (vedi l’ultimo rapporto della Fondazione NordEst), ma si tratta di movimenti troppo spontanei e marginali per poter dire che è in atto un consapevole cambiamento del modello di sviluppo. E le imprese, senza l’indirizzo di una politica industriale che abbia stabilito gli obiettivi di sistema, da sole non ce la faranno. Per esempio, la mancanza di grandi gruppi - tra i primi dieci nel mondo ci sono due tedeschi e due britannici, Eni e Fiat sono al sedicesimo e ventitreesimo posto - è indicata nell’ultimo rapporto di Mediobanca come una nostra carenza decisiva, proprio mentre le multinazionali europee accorciano le distanze dai colossi americani. Da qui si capisce perché un rilancio dei consumi di per sé finirebbe soltanto per favorire le importazioni, visto che il nostro capitalismo latita nel manifatturiero tecnologico (a cominciare da telefonini e computer) e non è concorrenziale sul fronte dei prodotti maturi. Allora, l’ottimismo aiuta ad abbattere quegli ostacoli di natura strutturale che bloccano il nostro sistema produttivo, o fa credere che la ripresa sia già arrivata e guai a parlare di sacrifici proprio mentre il ministro Padoa Schioppa incassa il sì della Ue su una manovra che necessariamente dovrà essere di “lacrime e sangue”? La preoccupante saldatura tra la componente massimalista del governo e quella più populista dell’opposizione, in nome del no alla cosidetta “macelleria sociale”, fa temere che possa prevalere la seconda ipotesi. Insomma, vista la situazione, l’unico ottimismo giustificato sarebbe quello che derivasse da una seria ricognizione dei problemi del Paese e da relative, condivise assunzioni di responsabilità. Viceversa, illudersi che basti segnare un rigore in più è, come diceva Talleyrand, più che un delitto, un errore.

Pubblicato sulla Sicilia del 16 luglio 2006

Social feed




documenti

Test

chi siamo

Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.