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Osserviamo, attoniti

La drammatica situazione politica italiana

di Enrico Cisnetto - 25 ottobre 2010

Fini che pare aver spianato la strada al lodo Alfano, fino al punto di suscitare non pochi mal di pancia dentro il neonato Fli. Bossi che ha smesso di parlare di elezioni dietro l’angolo. Berlusconi che ha smesso di oscillare tra voto anticipato e continuità della legislatura, scegliendo di galleggiare, consapevole che gli italiani sono scontenti e che la vicenda dei rifiuti in Campania dimostra come non lui non possa più fare appello al complotto giudiziario per fare il pieno dei consensi. Sempre Berlusconi che “congela” il vertice del Pdl e cerca di evitare che il frazionismo s’impadronisca del suo partito, fino al punto – per lui costoso, non fosse altro in termini di mentalità – di concedere un po’ di democrazia interna. Il Pd che continua a farsi del male, dilaniato da spinte centrifughe interne che lo rendono impreparato ad affrontare le urne. Insomma, tutto sembra congiurare contro l’ipotesi di elezioni anticipate a marzo. Vero? In realtà, a fronte dei molti e buoni motivi per cui questa conclusione appare fondata, altri elementi non meno significativi potrebbero far pendere la bilancia dal lato opposto. Per esempio, il comportamento della Lega. Finora si è indagato poco su cosa bolla nella pentola di Bossi, ma l’impressione è che sia sul punto di esplodere. Le linee di frattura interne sono più d’una e la capacità di tenuta del leader storico – certificata dalla forzatura a favore del figlio – è al minimo storico. In più, sul piano politico la Lega è, dalle scorse elezioni regionali in poi, sempre meno in grado di usare lo schema da anni vincente del “partito di lotta e di governo”. Perché prima era di governo a Roma e di lotta sul territorio, mentre ora è vincolata al ruolo romano ma non può più usare il linguaggio d’opposizione (magari al sistema) in quei territori dove è diventata istituzione e dove comincia a pagare il prezzo di qualche amministratore preso con le mani nella marmellata. E questo proprio mentre la crescente nausea degli italiani per la politica richiederebbe per la Lega, al fine di continuare ad accrescere i consensi o quantomeno di mantenerli, di tornare a pescare nel vecchio armamentario dell’anti-politica su cui Bossi ha costruito la sua fortuna. Sì, ci prova con le battute sui romani “porci” o mantenendo alto il volume delle grida contro gli immigrati, ma rischia che siano i grillini, i viola, i giustizialisti del Fatto di Travaglio e i dipietristi della prima ora a fare il pieno tra gli incazzati. Dunque, Bossi deve al più presto trasformare in voti il consenso che defluisce dal Pdl prima che raggiunga l’alveo sempre più grande dell’astensionismo, e per farlo non può che usare toni e parole d’ordine incompatibili con il permanere della Lega al governo. Ergo, tra chi potrebbe staccare la spina il principale indiziato di volerlo fare è proprio Bossi. Quando? Entro la fine dell’anno. Cioè prima che si girino le carte sul federalismo fiscale e si scopra che sotto non c’è nulla. Ma anche taluno nel governo potrebbe essere tentato dalle elezioni anticipate. E non solo Maroni, che oltre alle ragioni di tutta la Lega potrebbe averne di sue, legate alle dinamiche interne del suo partito, ma anche altri ministri. Inoltre, va considerato quello che potremmo chiamare “effetto inerzia”. Cioè la tendenza, il trend. Che era ieri e rimane anche oggi, nonostante i tentativi di “frenata” sia del premier che di Fini, quello di uno scollamento tale interno al governo, alla maggioranza e agli stessi partiti che vi partecipano che spinge in modo quasi inevitabile il sistema verso il punto di rottura. La stessa crisi del Pd, che pure vede le elezioni come un pericolo, rischia di accelerare il processo di sfaldamento del sistema politico: quanto può durare la segreteria di Bersani sottoposta alle critiche, interne ed esterne, da “destra” di Chiamparino, Cacciari e dei Popolari (Follini e Fioroni), da “sinistra” di Vendola e compagni, e di Veltroni dal lato dei fans del bipartitismo? Chi pensa di portare le truppe fuori dal partito o chi, come il governatore della Puglia, immagina di poter vincere delle eventuali primarie, potrebbe avere l’interesse alle elezioni, o comunque potrebbe comportarsi in modo da finire per favorirle. Come si vede, dunque, la partita è del tutto aperta, e la sua conclusione è condizionata tanto dalla battaglia che il premier conduce sul piano legislativo per tutelarsi giudiziariamente – con scarsa lucidità, mi sia consentito di osservare mettendomi nei suoi panni – quanto ai venti che spirano sia dalle varie inchieste giudiziario-mediatiche presenti e future sia dal gossip che continua a produrre “materiale per il ventilatore” in gran quantità. Senza contare, naturalmente, gli effetti della situazione economica e delle decisioni in materia di finanza pubblica che l’Europa si accinge a prendere, a cominciare dalla modifica del Patto di stabilità. E non dimenticando che sottotraccia è in corso uno scontro sulla legge elettorale – di cui abbiamo parlato dettagliatamente in questo giornale la settimana scorsa – che non sarà meno influente di tutti gli altri elementi del gioco politico messi assieme. Il tutto mentre il Paese osserva, attonito.

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