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La sconfitta di Leoluca è un bene per Palermo

Orlandismo, malattia del sinistrismo

Da democristiano cavalcò il giustizialismo fascistoide, ora si ritrova con Di Pietro

di Davide Giacalone - 17 maggio 2007

Leoluca Orlando non è tornato a fare il sindaco di Palermo. E’ un gran bene per Palermo ed è un vantaggio per la sinistra. Da questa prova la sinistra esce rintronata, perché ha scelto il peggiore candidato sperando fosse il più probabile vincente, si ritrova perdente e senza una politica spendibile. Chi crede che la migliore sinistra sia quella sconfitta può gioire, ma io la penso diversamente e ritengo che una sinistra seria sarebbe un bene per tutti.

Perché mai Orlando sia considerato di sinistra, non lo so. Era democristiano, poi cavalcò un ripugnante giustizialismo di marca fascistoide, infine si ritrova al fianco di Di Pietro. So perché la sinistra se lo è scelto: perché è vuota di uomini ed idee, ha orrore di se stessa, di quel che è stata e di quel che non riesce a diventare. Non trovando il coraggio di esprimere un giudizio di definitiva ed inappellabile condanna del comunismo, incapace a darsi uomini diversi da quelli cresciuti e sfamati con soldi comunisti, sapendo che quelli non potrebbero aspirare che ai voti di una minoranza cieca, cerca candidati fuori da se stessa, dalla propria storia ed anche fuori dalla propria condotta. Così facendo raccatta il peggio. Orlando è una specie di monumento vivente a questa degenerazione, ma altri non sono poi così diversi da lui. Meglio di lui e di quelli come lui ci sono alcune migliaia di ex comunisti, azzoppati, però, dalla propria viltà morale e culturale.

Palermo dovrebbe entrare nella zucca di tutta la sinistra italiana, quale rappresentazione della fine che farà se non saprà affrancare se stessa dalle zavorre e dalle paure del passato. Chi cerca di tradurre il clientelismo di un tempo nei lavori socialmente (in)utili, chi spera che i giovani non s’accorgano di quale solenne fregatura sia la tentata riforma delle pensioni, chi sui mali d’Italia naviga senza affrontarli e cerca nell’avversario il collante di un tremulo partito unico, ha già perso prima di combattere, perché, se anche vincesse nelle urne, non per questo avrebbe una cultura di governo da far valere. La sinistra avrebbe bisogno di dosi massicce di riformismo ed innovazione, dovrebbe divenire rivoluzionaria della propria genetica reazionaria. Le sarà difficile, perché guidata dagli ultimi, vecchi e stanchi, profittatori delle sue debolezze.

Pubblicato da Libero

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