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Il giuslavorista ricordato da chi lo conosceva

Onorare Biagi per salvarne la legge

A quattro anni dall’assassinio, le cerimonie separate di Bologna e le ferite ancora aperte

di Alessandra Servidori - 17 marzo 2006

Il quarto anniversario del martirio di Marco Biagi è segnato, ancora una volta, da grandi errori, imbarazzi, rancori, menzogne. È possibile che il primo cittadino di Bologna, Sergio Cofferati, non voglia garantire il ricordo del giuslavorista massacrato dalle Brigate rosse sotto casa perché difendeva una legge dello Stato, con il rispetto che gli è dovuto? Ebbene è così, noi ne prendiamo atto, con grande rammarico,ma è così. E allora agiamo come si conviene, difendiamo con onore la figura e il lavoro del professor Biagi. Senza paura di vendette, con la testa alta, la schiena dritta, sicuri di fare la cosa giusta. I dissensi molto profondi dell’ex segretario della Cgil Cofferati sulla riforma del lavoro, ai tempi dell’assassinio di Marco Biagi sono anche oggi, come allora, lo strumento, la clava, sul quale si inasprisce una battaglia culturale sulle riforme necessarie al nostro Paese. Si può dissentire sui contenuti della legge Biagi, che, per cominciare a smentire i detrattori, è stata scritta interamente dal giuslavorista di cui ne abbiamo i testi originali esattamente come gli scritti del Libro Bianco, ma non è consentito essere ambigui.
La violenza del terrorismo è uno strumento di lotta politica così come le parole contro Marco allora e oggi contro il suo lavoro sono inaccettabili in un paese democratico. Soprattutto se sono le istituzioni che non sono in grado, o non vogliono, garantire la libertà di espressione, il rispetto delle idee, il rispetto di un sacrificio umano. Scrivere tre lettere ai diversi componenti della famiglia Biagi per comunicare la decisione di “celebrare” un rito freddo e grigio sotto casa del giuslavorista ucciso dalle Br neanche il giorno stesso, non significa decidere insieme alla famiglia, che non ha mai scelto di discutere le decisioni di altri. Ma con grande dignità ha preso atto di quanto hanno organizzato . Non si può millantare un accordo quando si è comunicato, per iscritto o a voce, una scarna celebrazione. Ma andando oltre, altri anniversari torneranno perché la memoria non si cancella, e noi saremo sempre qui, Dio permettendo, a promuovere il lavoro , i valori, il futuro di un Paese migliore .
Del Paese che Marco immaginava e voleva e per il quale è morto, sotto il fuoco delle pallottole e ,prima ancora umiliato dalla demagogia e dall’ignoranza, che ancora oggi sopravvivono e che non ci stancheremo, mai, di contrastare. Un impegno morale dei cittadini bolognesi è proprio non "dimenticare Marco Biagi" che invece è la direttiva impartita dalle istituzioni bolognesi nel quarto anniversario dell"uccisione del giurista. E vorrei ricordare al professor Stefano Zamagni che Marco è stato cittadino generoso legato alla sua Bologna, collaborando con le istituzioni più prestigiose: dall’Osservatorio regionale per il lavoro, all’azienda municipalizzata trasporti, alla Provincia, alla Fondazione del Monte, docente alla Johns Hopkins e al Dikinson College. Il fatto che non vi saranno cerimonie pubbliche, né orazioni commemorative, ma verrà solo deposta una corona nella piazzetta che il sindaco Giorgio Guazzaloca volle intestare a Biagi, racconta come stanno le cose. Senza se, senza ma. E a parte alcune iniziative della società civile, solo la Chiesa petroniana, su indicazione della Curia, si appresta a ricordare adeguatamente il sacrificio di un valoroso civil servant. A chi fu amica di Marco ed è rimasta vicina alla sua famiglia – la quale ha deposto un così grande sacrificio sull"altare della libertà – un atteggiamento siffatto (proteso a stendere sull"intera vicenda il velo dell"oblio) può sembrare incomprensibilmente fazioso. Eppure c"è una logica (inaccettabile ma tessuta con un filo di razionalità) in tale comportamento: come se si volesse – con un atto tardivo di pietà che a Marco venne negato negli ultimi mesi di vita – non coinvolgere la sua memoria (un martire è sempre scomodo ed ingombrante) nel massacro che verrà compiuto della legge di riforma del mercato del lavoro (nota ovunque come legge Biagi), se l"Unione dovesse vincere le elezioni.
Nelle Tesi della Cgil e nel Programma dell"Unione si parla di legge n. 30 o addirittura con cattiveria di legge Maroni e si propongono ora gravi amputazioni del provvedimento, ora una sommaria "cancellazione". È la solita tiritera: una legge ritenuta tanto negativa non può essere attribuita a Marco Biagi, uno studioso riformista che aveva collaborato con Governi di centro sinistra e che aveva trasfuso nel suo Libro bianco sul mercato del lavoro nell"autunno del 2001 le medesime elaborazioni che erano state oggetto del proficuo sodalizio con Tiziano Treu. Il demerito di una legge accusata di aver dato la stura al più bieco precariato (altri critici sostengono, al contrario, che essa non avrebbe inciso sui rapporti di lavoro) deve essere attribuito, dunque, ai continuatori dell"opera del professore caduto il 19 marzo 2002 (non dalla parte del centro destra, come è stato ribadito recentemente con cattivo gusto, ma sul campo dell"onore). Il fatto è che, con questo zelo iconoclasta, si finisce per privare Marco dell"opera per cui ha dato la vita. La legge Biagi, infatti, è il punto di arrivo (certo imperfetto come tutte le cose umane) di letture, studi, approfondimenti delle "migliori prassi" di una legislazione innovativa che, laddove è stata applicata, ha contribuito a sbloccare il mercato del lavoro.Dunque onorare Marco significa anche salvare la sua legge.

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