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Quali scenari si schiudono dopo la vittoria del Ppe?

Oltre la“zoppia” istituzionale

Al G8 aquilano è necessaria una single voice europea su nuove regole e iniziative anticrisi

di Angelo De Mattia - 17 giugno 2009

Quali indirizzi, soprattutto nell’opera di contrasto della crisi finanziaria globale, si affermeranno nel Parlamento europeo (pur con i suoi non amplissimi poteri) e nella stessa Commissione, da rinnovare a breve, dopo la straripante vittoria del Ppe? Si continuerà a far leva sull’azione dei poteri pubblici o si avvierà un processo di allentamento per ridurre il peso dell’intervento degli Stati e dell’Unione?

Sarebbe sbagliato, innanzitutto, presupporre che nel Ppe vi sia sin d’ora una reductio ad unum delle impostazioni di politica economica e finanziaria. Come altrettanto errato sarebbe ritenere che si possa, da subito, affermare nel Partito vincitore un orientamento marcatamente neoliberistico.

In effetti, se il forte arretramento delle formazioni politiche facenti capo al Pse nei Paesi in cui sono al governo e in quelli in cui sono all’opposizione va spiegato principalmente con una impreparazione strategica in cui queste formazioni si sono trovate di fronte alla crisi, nella carenza di una egemonia innanzitutto culturale, e se, dunque, al Partito avversario si è rivolto quell’elettorato che ha ritenuto di poter essere meglio protetto dalla stessa crisi, allora è difficile immaginare arretramenti – anche se non sono da escludere in via di principio – nelle Istituzioni comunitarie su temi quali gli interventi, in percentuale del pil nazionale, da attuare per stimolare la domanda aggregata, il contrasto dei paradisi fiscali e la disciplina degli hedge fund nonché delle società di rating, la regolamentazione, in generale, del sistema creditizio e finanziario, la tutela della concorrenza e del libero mercato, il rispetto dell’autonomia della Banca centrale europea, etc., per citare solo alcuni argomenti oggi di particolare attualità.

Proprio in queste ore è all’esame la riforma dell’architettura della Vigilanza creditizia e finanziaria a livello europeo progettata dal Comitato de Larosère, che propone soluzioni non soddisfacenti per ciò che riguarda il rapporto tra politica monetaria e funzioni di vigilanza. La scelta più valida sarebbe quella – già sottolineata da Mf/Milano Finanza – di affidare quest’ultima attribuzione direttamente alla Bce, come, del resto, sarebbe consentito dal Trattato Ce, con l’adozione di una particolare procedura.

Ma quale visione della Bce avranno le forze politiche risultate vincitrici nel confronto elettorale? Più in generale, senza voler affrontare, per ora, il tema dell’avanzamento del processo di integrazione comunitaria anche, eventualmente, con lo strumento delle cooperazioni rafforzate, ciò che fin qui è emerso con tutta evidenza è lo squilibrio tra moneta e politica monetaria uniche, per i Paesi dell’eurozona, e politica economica in larga parte di pertinenza degli Stati aderenti all’Unione.

Non si è affatto verificata l’aspettativa dell’intendance suivra: né l’assetto dell’economia, né, a maggior ragione, quello delle istituzioni della politica hanno fatto seguito a quello della moneta. Si tratta, insomma, della “zoppia” istituzionale, spesso citata. Nessuno immagina che lo squilibrio in questione si possa colmare con la bacchetta magica.

Ma si tratta di verificare, oggi, se il vento che soffia in Europa, se il mainstream anche nell’agire comune sospingano o no nella direzione di coordinare più strettamente ed efficacemente le politiche economiche statuali, fino ad arrivare in un futuro non ravvicinato a cessioni di sovranità nazionali, invece di sollecitare il “liberi tutti”: insomma, se nell’economia e nella finanza l’integrazione sarà perseguita adottando la stessa linea sinora seguita o, addirittura, con una maggiore spinta ovvero se, all’opposto, vi sarà un ripiegamento.

Su questi temi, anche perché il partito di Angela Merkel resta un punto cardine del Ppe, dovrebbe risultare difficile pensare, per esempio, a comportamenti volti a ridurre l’autonomia e indipendenza della Bce – al di là di alcune dichiarazioni elettoralistiche rese dalla Cancelliera - ovvero a un ritrarsi dell’Europa dalle iniziative per la regolamentazioni dei centri off shore e dei fondi speculativi.

La Germania, pur dopo il risultato negativo della formazione della Merkel e il pesante insuccesso dei socialdemocratici, dovrebbe restare il pilastro del rigore e dell’equilibrio dei conti pubblici. Ma, a proposito del Patto di stabilità e crescita e del diverso peso dato dal Trattato all’azione della Bce a seconda che persegua l’obiettivo della stabilità dei prezzi o quello del sostegno alle politiche economiche della Comunità, come si comporterà quella parte della destra che ha vinto e che è stata votata anche da categorie non rappresentanti suoi tradizionali elettori, con bassi o precari redditi, più esposti alla crisi o già da questa colpiti? Si presterà il fianco a un’ondata protezionistica? Nasceranno più consistenti spinte isolazioniste nei confronti dell’immigrazione? Quale ruolo avranno il lavoro e il Welfare?

Sarebbe veramente grave se l’Unione europea e l’Eurozona dovessero decampare dal loro pur incerto, non di rado insoddisfacente cammino, per imboccare strade rischiose che, al di là delle intenzioni, finirebbero con il favorire pur presenti, ancorché limitati, ritorni localistici, con tutti i connessi pericoli, ivi incluse alcune, sia pure non particolarmente consistenti, spinte xenofobe. Tutti, anche i vincitori, farebbero bene a rimettersi in causa per quel che riguarda il modo in cui è stato affrontato il tema del governo della globalizzazione e quello del contrasto della crisi. C’è in abbondanza materia di riflessione, non ultimo il successo dei Verdi.

Non bisogna dimenticare che l’Europa avrebbe tutto da guadagnare se riuscisse a presentarsi al G8 aquilano con una single voice sulle nuove regole e sulle iniziative anticrisi. Ma riuscirà a farlo? Restano, in ogni caso, seri interrogativi sull’Europa del prossimo quinquennio. Coloro che hanno riscosso successo, proprio per la corposità dei risultati elettorali, avrebbero forse oggi modo, qualora sussista un minimo di volontà politica, di avviare un processo di riforme istituzionali.

Mutatis mutandis, lo stesso varrebbe per l’Italia. Il mancato sfondamento del Pdl e, dunque, il necessario accantonamento del proposito di promuovere da solo, in Italia, le riforme costituzionali e istituzionali potrebbero aprire la strada ad ampie convergenze, considerato che su questo tema si dimostra che le singole forze politiche non sono in grado di portare a termine processi di tale portata. Da elezioni, tutte ancora da scavare nei significati e nei moniti, potrebbe scaturire quel che finora è stato impossibile portare avanti?

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