Quello che ci vuole è una “grande coalizione”
Oltre la crisi del sistema
Adesso serve costruire una “prima forza”, sostitutiva dell’esistentedi Enrico Cisnetto - 12 luglio 2010
E’ bastata l’ennesima “crisi di governo virtuale” – che nella Seconda Repubblica è l’unica modalità possibile per i default della politica – cioè quella che stiamo penosamente vivendo per il dilaniarsi della maggioranza intorno alla manovra finanziaria e alla legge sulle intercettazioni, per rilanciare l’idea di un “terzo polo” capace di sparigliare le carte del bipolarismo ormai fallito.
Ne parlano in tanti, con o senza titolo, e recenti sondaggi ipotizzano una forza addirittura superiore al 20% a quella nebulosa che metterebbe insieme dall’Udc ai finiani passando per Rutelli e Montezemolo (?) oltre che altre realtà minori. Ma è un’ipotesi praticabile? E nel caso che lo fosse, sarebbe davvero utile?
Penso che chi, come il sottoscritto, ha fondato un movimento d’opinione (Società Aperta) in tempi non sospetti (12 anni fa) per denunciare le contraddizioni del bipolarismo all’italiana e predicare la necessità di passare al più presto alla Terza Repubblica, abbia le credenziali giuste per rispondere a queste domande. E la mia risposta – non ci si meravigli – è assolutamente negativa. Non perché non ci sia la necessità di costruire una nuova forza politica – che semmai è drammaticamente in ritardo – ma perché oggi non ha più senso pensarla come “terza”. Terza di che?
Se la sinistra è morta da tempo e per ridarsi una prospettiva ha bisogno di una trasfigurazione totale, una rinascita che presuppone la preventiva certificazione del trapasso di quella esistente, e se il centro-destra è nel pieno di una crisi esistenziale nonostante sia elettoralmente padrone del campo – o forse proprio per questo, non avere sufficiente opposizione comporta inevitabilmente l’esplosione delle opposizioni interne – insomma, se il bipolarismo ha perso entrambe i poli su cui si regge, non ha nessun significato immaginare la creazione di una “terza forza”.
Essa serviva quando il sottoscritto e pochi altri volonterosi – tra i tanti mi piace ricordare l’amico Savino Pezzotta, con il quale nel 2005, lui ancora segretario della Cisl, cercammo (senza fortuna) di coinvolgere Montezemolo per prendere un’iniziativa in vista delle “elezioni pareggio” del 2006 – cercavano di anticipare la fine della Seconda Repubblica, sulla base di un’analisi, risultata purtroppo più che fondata, che considerava certo il fallimento del bipolarismo e nefasto il suo protrarsi nel tempo. Dopo l’esordio fallimentare di Berlusconi nel 1994 e dopo la scarsa riuscita del centro-sinistra nella legislatura 1996-2001 (quattro governi con tre presidenti del consiglio), e considerati vizi che avevano guastato fin dalla nascita il dna stesso del regime politico succeduto alla Prima Repubblica, non era difficile 10-12 anni fa o anche prima pronosticare il futuro infelice della Seconda Repubblica, immaginare i danni ch avrebbe provocato al Paese e agire di conseguenza.
Ma allora, e per diversi anni a seguire, questa consapevolezza non era affatto diffusa – un po’ per ignoranza, un po’ per convenienza – e dunque le due gambe del bipolarismo avevano effettivamente bisogno di un terzo polo che, fungendo da reagente chimico nello stagno della politica bloccata dalla contrapposizione armata, facesse in modo da accelerare la scomposizione e ricomposizione delle alleanze politiche. Siccome, però, quella terza forza non è mai nata – né per scissioni interne al sistema, né per ingressi dall’esterno – altro non è rimasto che attendere la decomposizione del sistema per auto-implosione.
Cosa che è regolarmente successa, prima a sinistra e ora a destra, ma con un ritardo che andato tutto a scapito del Paese, che nel frattempo ha visto aumentare inesorabilmente il suo declino, e non solo politico-economico, ma anche civile e morale. Certo, il “morto” – la Seconda Repubblica – non è ancora seppellito, ma nessuno ormai, neppure tra i suoi protagonisti, è disposto a scommettere sulla possibilità di un miracoloso risveglio. Per questo la terza forza, intesa nell’accezione di cui sopra – e unica versione possibile – non serve più. Adesso serve costruire una “prima forza”, sostitutiva dell’esistente, ancora “vivo” solo formalmente.
Quello che nel linguaggio giornalistico e politico ormai corrente – e questo la dice lunga a proposito della fine di un’epoca – viene chiamato il “dopo Berlusconi” altro non è se non la necessità di individuare uomini, risorse e strategie per fare al più presto ciò che lo stesso Cavaliere fece nel 1994: raccogliere, senza continuità alcuna, l’eredità di chi aveva avuto il consenso fino a quel momento. Allora la catarsi fu Tangentopoli, oggi l’implosione del sistema berlusconiano. Ma la condizione è la stessa. E come allora Berlusconi non venne l’idea di fare una “terza forza”, necessariamente subordinata per quanto consistente, così oggi il tema è quello di una forza primaria che sappia ricostruire un nuovo sistema politico.
Perché così come allora si passava da un regime politico basato sul sistema parlamentare e il proporzionale puro a qualcosa d’altro (nella fattispecie, purtroppo, un becero bipolarismo all’italiana), così oggi si deve passare da un maggioritario senza precedenti e senza uguali in Europa (chi prende un voto di più ha la maggioranza assoluta dei seggi), ad un sistema possibilmente più maturo. Ecco, qui sta il primo dei due nodi su cui si deve ragionare per costruire la nuova “prima forza” o il nuovo “primo polo”: definire preventivamente il sistema politico più adatto a fare della Terza Repubblica una svolta positiva nella vita del Paese.
Visto da dove si viene, considerati gli errori che si sono commessi, la cosa più logica è adottare il sistema tedesco, e non solo per la legge elettorale ma anche per gli assetti istituzionali e le regole di funzionamento della democrazia. Altri potranno preferire l’esperienza francese, ma una cosa è certa: occorre che chi intende creare il nuovo polo di attrazione della politica italiana scelga. E scelga in fretta e senza confusi compromessi.
Il secondo nodo da sciogliere, che rende diversa la situazione di oggi da quella di 16 anni fa, è il totale azzeramento del quadro politico. Allora la sinistra era forte, anche se poi la gioiosa macchina da guerra di Occhetto perse con l’outsider della tivù commerciale. Oggi è morta prima ancora della destra. Questo comporta che il quadro politico va ricostruito interamente, e il nuovo polo nascente dovrà decidere dove collocarsi rispetto all’elettorato: ereditare il voto moderato o quello progressista? Se le cose stessero solo così, la risposta sarebbe semplice: siccome il primo è sempre stato maggioranza e il secondo minoranza, cominciamo dall’area moderata.
Ma dato che in una prima fase la Terza Repubblica dovrebbe essere consegnata ad una “grande coalizione” che unisca le forze per affrontare le grandi riforme strutturali che non si sono mai fatte, ecco che la faccenda si fa più complessa. Il che potrebbe indurci a immaginare un’operazione a più fasi e stadi. Ma di questo varrà la pena parlare non appena saranno più chiari i tempi e i modi delle esequie della Seconda Repubblica, e non appena sarà sgombrato il campo da questo inutile dibattito sul polo “terzo”.
Pubblicato da Liberal
Ne parlano in tanti, con o senza titolo, e recenti sondaggi ipotizzano una forza addirittura superiore al 20% a quella nebulosa che metterebbe insieme dall’Udc ai finiani passando per Rutelli e Montezemolo (?) oltre che altre realtà minori. Ma è un’ipotesi praticabile? E nel caso che lo fosse, sarebbe davvero utile?
Penso che chi, come il sottoscritto, ha fondato un movimento d’opinione (Società Aperta) in tempi non sospetti (12 anni fa) per denunciare le contraddizioni del bipolarismo all’italiana e predicare la necessità di passare al più presto alla Terza Repubblica, abbia le credenziali giuste per rispondere a queste domande. E la mia risposta – non ci si meravigli – è assolutamente negativa. Non perché non ci sia la necessità di costruire una nuova forza politica – che semmai è drammaticamente in ritardo – ma perché oggi non ha più senso pensarla come “terza”. Terza di che?
Se la sinistra è morta da tempo e per ridarsi una prospettiva ha bisogno di una trasfigurazione totale, una rinascita che presuppone la preventiva certificazione del trapasso di quella esistente, e se il centro-destra è nel pieno di una crisi esistenziale nonostante sia elettoralmente padrone del campo – o forse proprio per questo, non avere sufficiente opposizione comporta inevitabilmente l’esplosione delle opposizioni interne – insomma, se il bipolarismo ha perso entrambe i poli su cui si regge, non ha nessun significato immaginare la creazione di una “terza forza”.
Essa serviva quando il sottoscritto e pochi altri volonterosi – tra i tanti mi piace ricordare l’amico Savino Pezzotta, con il quale nel 2005, lui ancora segretario della Cisl, cercammo (senza fortuna) di coinvolgere Montezemolo per prendere un’iniziativa in vista delle “elezioni pareggio” del 2006 – cercavano di anticipare la fine della Seconda Repubblica, sulla base di un’analisi, risultata purtroppo più che fondata, che considerava certo il fallimento del bipolarismo e nefasto il suo protrarsi nel tempo. Dopo l’esordio fallimentare di Berlusconi nel 1994 e dopo la scarsa riuscita del centro-sinistra nella legislatura 1996-2001 (quattro governi con tre presidenti del consiglio), e considerati vizi che avevano guastato fin dalla nascita il dna stesso del regime politico succeduto alla Prima Repubblica, non era difficile 10-12 anni fa o anche prima pronosticare il futuro infelice della Seconda Repubblica, immaginare i danni ch avrebbe provocato al Paese e agire di conseguenza.
Ma allora, e per diversi anni a seguire, questa consapevolezza non era affatto diffusa – un po’ per ignoranza, un po’ per convenienza – e dunque le due gambe del bipolarismo avevano effettivamente bisogno di un terzo polo che, fungendo da reagente chimico nello stagno della politica bloccata dalla contrapposizione armata, facesse in modo da accelerare la scomposizione e ricomposizione delle alleanze politiche. Siccome, però, quella terza forza non è mai nata – né per scissioni interne al sistema, né per ingressi dall’esterno – altro non è rimasto che attendere la decomposizione del sistema per auto-implosione.
Cosa che è regolarmente successa, prima a sinistra e ora a destra, ma con un ritardo che andato tutto a scapito del Paese, che nel frattempo ha visto aumentare inesorabilmente il suo declino, e non solo politico-economico, ma anche civile e morale. Certo, il “morto” – la Seconda Repubblica – non è ancora seppellito, ma nessuno ormai, neppure tra i suoi protagonisti, è disposto a scommettere sulla possibilità di un miracoloso risveglio. Per questo la terza forza, intesa nell’accezione di cui sopra – e unica versione possibile – non serve più. Adesso serve costruire una “prima forza”, sostitutiva dell’esistente, ancora “vivo” solo formalmente.
Quello che nel linguaggio giornalistico e politico ormai corrente – e questo la dice lunga a proposito della fine di un’epoca – viene chiamato il “dopo Berlusconi” altro non è se non la necessità di individuare uomini, risorse e strategie per fare al più presto ciò che lo stesso Cavaliere fece nel 1994: raccogliere, senza continuità alcuna, l’eredità di chi aveva avuto il consenso fino a quel momento. Allora la catarsi fu Tangentopoli, oggi l’implosione del sistema berlusconiano. Ma la condizione è la stessa. E come allora Berlusconi non venne l’idea di fare una “terza forza”, necessariamente subordinata per quanto consistente, così oggi il tema è quello di una forza primaria che sappia ricostruire un nuovo sistema politico.
Perché così come allora si passava da un regime politico basato sul sistema parlamentare e il proporzionale puro a qualcosa d’altro (nella fattispecie, purtroppo, un becero bipolarismo all’italiana), così oggi si deve passare da un maggioritario senza precedenti e senza uguali in Europa (chi prende un voto di più ha la maggioranza assoluta dei seggi), ad un sistema possibilmente più maturo. Ecco, qui sta il primo dei due nodi su cui si deve ragionare per costruire la nuova “prima forza” o il nuovo “primo polo”: definire preventivamente il sistema politico più adatto a fare della Terza Repubblica una svolta positiva nella vita del Paese.
Visto da dove si viene, considerati gli errori che si sono commessi, la cosa più logica è adottare il sistema tedesco, e non solo per la legge elettorale ma anche per gli assetti istituzionali e le regole di funzionamento della democrazia. Altri potranno preferire l’esperienza francese, ma una cosa è certa: occorre che chi intende creare il nuovo polo di attrazione della politica italiana scelga. E scelga in fretta e senza confusi compromessi.
Il secondo nodo da sciogliere, che rende diversa la situazione di oggi da quella di 16 anni fa, è il totale azzeramento del quadro politico. Allora la sinistra era forte, anche se poi la gioiosa macchina da guerra di Occhetto perse con l’outsider della tivù commerciale. Oggi è morta prima ancora della destra. Questo comporta che il quadro politico va ricostruito interamente, e il nuovo polo nascente dovrà decidere dove collocarsi rispetto all’elettorato: ereditare il voto moderato o quello progressista? Se le cose stessero solo così, la risposta sarebbe semplice: siccome il primo è sempre stato maggioranza e il secondo minoranza, cominciamo dall’area moderata.
Ma dato che in una prima fase la Terza Repubblica dovrebbe essere consegnata ad una “grande coalizione” che unisca le forze per affrontare le grandi riforme strutturali che non si sono mai fatte, ecco che la faccenda si fa più complessa. Il che potrebbe indurci a immaginare un’operazione a più fasi e stadi. Ma di questo varrà la pena parlare non appena saranno più chiari i tempi e i modi delle esequie della Seconda Repubblica, e non appena sarà sgombrato il campo da questo inutile dibattito sul polo “terzo”.
Pubblicato da Liberal
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.