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Le elezioni democratiche e la vicenda Calipari

Oggi a Bagdad vince la democrazia

La vicenda della morte dell’italiano non comprometta l’alleanza con gli Usa

di Davide Giacalone - 29 aprile 2005

Sono passati tre mesi dalle elezioni, ma ora, in Irak, è insediato il primo governo democraticamente eletto. Il Parlamento ha votato la fiducia al premier, Ibrahim al Jafaari, che ha composto un puzzle destinato a rappresentare le diversità politiche ed etniche di questo antico Paese. Il quadro non è neanche completo, giacché restano da assegnare sette ministeri, fra i quali quelli decisivi della difesa e del petrolio.

Un iter faticoso, come si vede, ma già questo non definitivo approdo ha scatenato l’ondata degli attentati, che in queste ore stanno martirizzando ulteriormente Bagdad. Perché l’Irak rimane una zona dove i nemici della libertà e della tolleranza, della pace e del benessere, investono in morte e terrore. Quando la coalizione, ove si raccolsero le più grandi e forti democrazie del mondo, scelse di sferrare l’attacco all’Irak di Saddam Hussein fece una giusta scelta. Gli effetti si sono visti anche al di là di quei confini, a cominciare dalla Palestina. Fu una scelta giusta, anche se avversata da chi preferiva far (leciti) affari con il dittatore, o prediligeva con lui trafficare (illegalmente). Il peso della lunga guerra, però, comincia a sentirsi. C’è un peso umano, con le bare che continuano a riportare a casa giovani morti ammazzati nel combattere per la libertà. C’è un peso economico, perché al contrario della prima guerra del Golfo, questa volta i non belligeranti non contribuiscono alle spese di guerra. C’è un peso militare ed organizzativo, giacché il tempo, e le insidie del territorio, non hanno aumentato il coordinamento fra le forze alleate, ma ne hanno logorato il tessuto.

Noi italiani ne sappiamo qualche cosa. A questo proposito voglio dire che nessuna inchiesta può avere un quale che sia peso sulla memoria e sull’onore di Nicola Calipari. Non a caso gli statunitensi intendono riconoscergli un tributo. La tragica catena d’avvenimenti che ha portato alla sua morte, ucciso da mano amica, non può certo essere esaminata solo negli ultimissimi anelli. E’ evidente che in quelli è presente l’errore. Ma negli anelli che precedono è iscritta la diversa condotta, italiana e statunitense, innanzi ai rapimenti; è inciso il dolore per i propri civili sgozzati davanti alle telecamere; è impressa l’assenza di una comune dottrina ed intelligence, di un comune ruolo ed un pari peso. Queste sono cose che, alla lunga, producono guasti profondi.

Ha ragione Veltroni, ricordando che questa vicenda non deve in nessun modo nuocere ai buoni rapporti con l’alleato statunitense. Giusto, anche per questo è giunta l’ora che l’Irak torni ad essere un problema di tutta quanta la comunità internazionale.

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