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Perché i giovani restano ai margini

Occupati e precari, due mondi divergenti

di Donato Speroni - 07 aprile 2005

Governo, Confindustria e sindacati riaprono il discorso sul costo del lavoro. A tutti vorremmo suggerire la rilettura di una tabellina pubblicata sul Sole 24 Ore del 5 aprile a pagina 26, che fa capire meglio di tanti discorsi sia i problemi della competitività sia il vasto disagio sociale del Paese. La riassumiamo perché non è disponibile gratuitamente on line. Un lavoratore a progetto (nuova dizione dei famigerati "co.co.co." secondo la cosiddetta legge Biagi) che percepisce 1000 euro netti al mese costa all'azienda 16.651,79 euro all'anno. Se il compenso mensile è di 2000 euro, il costo annuo è di 37.841,67 euro. Un lavoratore dipendente con uno stipendio netto di mille euro ne costa invece 24.871,71, mentre se ha uno stipendio netto di 2000 euro il costo aziendale sale a 56.143,95 euro. Il confronto non mi sembra perfetto, perché in realtà per i lavoratori dipendenti il netto annuo è di circa 14 mensilità, ma anche operando le debite correzioni, i risultati sono, a mio parere, questi: - per il lavoratore precario a 1000 euro il costo aziendale è pari al 138,7% del netto. - per il lavoratore precario a 2000 euro il costo aziendale è pari al 157,7% del netto. - per il lavoratore dipendente a 1000 euro il costo aziendale è pari al 177,6% del netto. - per il lavoratore dipendente a 2000 euro il costo aziendale è pari al 200,5% del netto. Sappiamo tutti quali sono gi inconvenienti dei lavori a progetto. Derivano dalle collaborazioni coordinate e continuative della riforma Treu che li concepì come forma d'ingresso nel mondo del lavoro. Funzionano e hanno contribuito significativamente all'aumento occupazionale, Ma creano un esercito di precari, che arriva a 40 anni senza le sicurezze necessarie per crearsi una famiglia, comprare casa con un mutuo, spesso saltando da un lavoro all'altro senza sedimentazione professionale. D'altra parte, il lavoro dipendente: molto costoso per le imprese, sulla base di rapporti difficili da sciogliere una volta fatte le assunzioni, insomma uno strumento al quale ricorrere il meno possibile, solo se è proprio indispensabile, a costo di rinunciare alla gente che si è formata all'interno dell'azienda. Le limitazioni dell'attuale rapporto co pro pro rispetto al co co co potrebbero addirittura aumentare questo rischio, inducendo a una maggiore rotazione. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un mondo del lavoro diviso in due, tra protetti e precari, con un'insicurezza di fondo, che contribuisce a deprimere comportamenti e consumi. Smantellare questa divisione dovrebbe essere un obiettivo primario sia per la destra che per la sinistra, magari con ricette diverse, ma che comunque dovrebbero contemplare una maggiore flessibilità normativa e sgravi sul costo aziendale dei dipendenti, anche pubblici, una rete di sicurezza sociale per tutti, qualche garanzia in più per i precari. Ridurre la forbice tra dipendenti e precari avrebbe qualche costo per il sistema in termini di finanza pubblica, ma il vero nodo è politico, non riguarda i soldi ma il potere di alcune categorie di dipendenti su partiti e sindacati. Un potere certamente molto maggiore di quello di milioni di giovani tenuti ai margini del sistema. Quando si comincerà a parlarne seriamente?

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