Qualsiasi libero professionista deve scegliere
O candidati o magistrati
Le tutele costituzionali per la magistratura sono diventate indebiti vantaggidi Davide Giacalone - 14 febbraio 2006
Un magistrato che decida di candidarsi alle elezioni non deve più tornare ad indossare la toga. Faccia altro. L’incompatibilità dovrebbe essere secca senza eccezioni, e con ottimi appigli costituzionali.
La faccenda è tornata all’onore della ribalta a causa della candidatura di Gerardo D’Ambrosio, ma è solo una stranezza delle cronache. D’Ambrosio non ha mai fatto mistero delle sue passioni politiche, anche quando era in carica, si diede da fare per salvare i comunisti dalle inchieste di Mani Pulite, contribuendo alla palese e monumentale falsificazione che voleva Greganti quale incassatore in proprio delle tangenti, una volta in pensione divenne commentatore per L’Unità, ora si candida, e non cambia nulla. Ieri ha detto uno sproposito, definendo Berlusconi un “pericolo per la democrazia”, il che dimostra che gli sfugge cosa sia la democrazia. Pericolosi potrebbero essere i Caruso ed i Ferrando, come potrebbero esserlo i Tilgher e i Saya (la Mussolini non riesco neanche ad immaginarla, come pericolosa). E scrivo “sarebbero” perché, in realtà, sono solo relitti di un passato che non torna, che farebbe ridere se non desse un leggero voltastomaco. Che il candidato D’Ambrosio abbia scelto i toni apocalittici, che si butti sulle castronerie, sono affari suoi, e di chi vorrà votarlo. Ma non la questione delle toghe candidate, quelli sono affari nostri.
Intanto, sia chiaro, questa brutta abitudine si trova a sinistra e si trova a destra, e nessuno ha voluto dire con chiarezza quello che qui dico: chi si candida esca, per sempre, dalla magistratura. Non, come dice Virginio Rognoni, vicepresidente del Csm, chi è eletto, no, tutti, anche quelli che non vengono eletti (e mi sfugge la differenza, che lo stesso Rognoni farà fatica ad argomentare). Già sento l’obiezione: così i magistrati diventano cittadini diversi, con diversi diritti politici. Esatto, ed è quello che è scritto nella nostra Costituzione (art. 98), i magistrati, come i militari ed i diplomatici, hanno diritti politici diversi. Il fatto è che nella deviazione attuale ne hanno di più, accumulando privilegi e salvaguardie sconosciute ai comuni mortali.
Io sono un libero professionista, consiglio e rappresento interessi di diversi clienti, se domani mi candido è ragionevole supporre che alcuni di essi preferiscano avere consulenti più neutri e polivalenti. Nessuna legge potrà mai imporre ai miei clienti di continuare a pagarmi, e può ben darsi il caso che qualcuno di questi, scoperte le mie convinzioni politiche, non le gradisca affatto. Non sono tutelato, ed è giusto così. Perché, invece, il signor magistrato deve esserlo? Perché può andare in piazza a sostenere l’abolizione della proprietà privata e, domani, io debba accettare che sia un simile idiota a giudicare della mia? Faccia altro: l’avvocato, l’impiegato del catasto, il vigile urbano, l’artista.
Le scelte di D’Ambrosio non cambiano nulla, anzi, semmai chiariscono. Ma saremo grati a lui se il suo veemente avanzare contribuirà a far valere un sano principio: il magistrato, imparziale, che si candida, e parteggia, non torna più indietro.
La faccenda è tornata all’onore della ribalta a causa della candidatura di Gerardo D’Ambrosio, ma è solo una stranezza delle cronache. D’Ambrosio non ha mai fatto mistero delle sue passioni politiche, anche quando era in carica, si diede da fare per salvare i comunisti dalle inchieste di Mani Pulite, contribuendo alla palese e monumentale falsificazione che voleva Greganti quale incassatore in proprio delle tangenti, una volta in pensione divenne commentatore per L’Unità, ora si candida, e non cambia nulla. Ieri ha detto uno sproposito, definendo Berlusconi un “pericolo per la democrazia”, il che dimostra che gli sfugge cosa sia la democrazia. Pericolosi potrebbero essere i Caruso ed i Ferrando, come potrebbero esserlo i Tilgher e i Saya (la Mussolini non riesco neanche ad immaginarla, come pericolosa). E scrivo “sarebbero” perché, in realtà, sono solo relitti di un passato che non torna, che farebbe ridere se non desse un leggero voltastomaco. Che il candidato D’Ambrosio abbia scelto i toni apocalittici, che si butti sulle castronerie, sono affari suoi, e di chi vorrà votarlo. Ma non la questione delle toghe candidate, quelli sono affari nostri.
Intanto, sia chiaro, questa brutta abitudine si trova a sinistra e si trova a destra, e nessuno ha voluto dire con chiarezza quello che qui dico: chi si candida esca, per sempre, dalla magistratura. Non, come dice Virginio Rognoni, vicepresidente del Csm, chi è eletto, no, tutti, anche quelli che non vengono eletti (e mi sfugge la differenza, che lo stesso Rognoni farà fatica ad argomentare). Già sento l’obiezione: così i magistrati diventano cittadini diversi, con diversi diritti politici. Esatto, ed è quello che è scritto nella nostra Costituzione (art. 98), i magistrati, come i militari ed i diplomatici, hanno diritti politici diversi. Il fatto è che nella deviazione attuale ne hanno di più, accumulando privilegi e salvaguardie sconosciute ai comuni mortali.
Io sono un libero professionista, consiglio e rappresento interessi di diversi clienti, se domani mi candido è ragionevole supporre che alcuni di essi preferiscano avere consulenti più neutri e polivalenti. Nessuna legge potrà mai imporre ai miei clienti di continuare a pagarmi, e può ben darsi il caso che qualcuno di questi, scoperte le mie convinzioni politiche, non le gradisca affatto. Non sono tutelato, ed è giusto così. Perché, invece, il signor magistrato deve esserlo? Perché può andare in piazza a sostenere l’abolizione della proprietà privata e, domani, io debba accettare che sia un simile idiota a giudicare della mia? Faccia altro: l’avvocato, l’impiegato del catasto, il vigile urbano, l’artista.
Le scelte di D’Ambrosio non cambiano nulla, anzi, semmai chiariscono. Ma saremo grati a lui se il suo veemente avanzare contribuirà a far valere un sano principio: il magistrato, imparziale, che si candida, e parteggia, non torna più indietro.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.