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Ad Antonio Di Pietro la bandiera della “vera” opposizione

Nuovo test elettorale per il bipartitismo all’italiana

Ma è veramente normalizzata la situazione italiana? Qualche dubbio rimane

di Elio Di Caprio - 15 maggio 2009

Siamo pronti. Si voterà per le province che dovevano essere abolite, per le europee considerate più come test delle forze in campo che non per eleggere esponenti di taglio europeo in grado di far pesare le competenze più delle appartenenze. C’è poi il referendum che s’ha da fare visto che le firme sono state raccolte. Non fa niente che dopo il gioco a rimpiattino su una legge elettorale mai riformata le urne abbiano espresso uno squilibrato rapporto di forze tra maggioranza ed opposizione che sarebbe ancora più accentuato in caso di approvazione dei quesiti referendari. Si direbbe che nel caso del referendum i suoi sostenitori si siano fatti il contropiede da soli ed ora sono in estremo imbarazzo. E’ un altro elemento di confusione in più. Come se non bastassero i tanti paradossi di un bipartitismo tendenziale ma niente affatto realizzato e forse mai realizzabile.

Nemmeno un Parlamento di nominati riesce a sottrarsi alle vecchie logiche di provenienza, alla tentazione di fare gruppo a sé, magari in preparazione di futuri cambiamenti. A parte i leghisti ancora compatti, nella maggioranza ci sono i berlusconiani di provata fede con tutti i “famigli” del Presidente, i finiani doc, i laici, i cattolici osservanti, i libertari.

Tutto il contrario di quel che ci si sarebbe aspettato da tanti yes- man miscelati, ma pur sempre agli ordini di partito. Neanche un decreto sulla sicurezza, uno dei temi fondamentali che ha reso possibile l’ampia vittoria elettorale del centro destra, riesce ad essere approvato senza ricorrere al voto di fiducia. Tutto per evitare che affiorino ulteriori divisioni. E allora a che cosa sono serviti i grandi partiti di raccolta del consenso?

I malumori che travagliano il PDL ora in competizione con la Lega per le amministrative e le europee e in disaccordo su se e come votare il referendum sulla legge elettorale sono solo all’inizio e lasciano intravedere difficoltà crescenti in tutti i campi.

Cosa hanno in pancia gli ex AN confluiti frettolosamente nel PDL è facilmente intuibile, a parte le puntigliose prese di distanza di Gianfranco Fini, da quanto traspare dal loro giornale ufficiale - organo, come dicono, “nel” e non del PDL - il Secolo d’Italia. Sia pure con tutte le cautele del caso viene espressamente detto che il PDL non può vivere solo a rimorchio di Berlusconi. A futura memoria.

Intanto le elezioni europee vedranno ancora il PDL al rimorchio mediatico del Cavaliere che si presenta come capo lista in tutte le circoscrizioni. Gennaro Malgeri, già esponente tra i più qualificati di AN, va ben oltre riconoscendo a denti stretti il fallimento delle fusioni forzate come quella del PD e ora teme per il PDL, partito plurale solo a parole e privo di un’unica linea comportamentale più che ideologica, come egli dice.

Ma la vera forza del PDL risiede nella opposizione che ha di fronte, in una sinistra che conta sempre meno perchè non sa contare di più, presa com’è da mille contraddizioni. Le prossime elezioni europee con voto proporzionale serviranno a fare la conta di quel che ne è rimasto.

La sinistra antagonista scomparsa dal parlamento grazie al voto utile ( al PD) imposto da Walter Veltroni si rimette alla prova. Ma Fausto Bertinotti già avverte che ci vuole tempo per riemergere, “devi augurarti che la strada sia lunga” titola infatti il suo ultimo saggio appena uscito.

E’ una strada lunga per l’intera sinistra o solo per quella antagonista? E cosa di può fare nel frattempo?

Intanto c’è da rintuzzare la concorrenza più pericolosa, quella del partito di Di Pietro, che raccoglie ora tanti reduci della sinistra ideologica delusa dall’inconsistenza del Partito Democratico.

Quasi quasi quello che è stato indicato come l’errore imperdonabile di Walter Veltroni- essersi alleato ad Antonio Di Pietro nelle ultime elezioni- si sta rivelando un boomerang positivo, visto che con l’IDV va buona parte dell’intellighentia rimasta orfana dei vecchi ideali ma ancora in grado di dare un’impronta (o una patina) di sinistra ad una formazione qualunquista che ha fatto dell’antiberlusconismo il vero e unico collante.

Tutti gli intellettuali con Di Pietro, da Gianni Vattimo a Nicola Tranfaglia a Claudio Magris, ad Andrea Camilleri. Dove andrebbero altrimenti? Ci manca solo Umberto Eco e chissà che domani non si aggiungerà Eugenio Scalfari. L’ultimo sberleffo degli intellettuali di sinistra è andare proprio con l “incolto” Di Pietro, l’astuto ex magistrato che ha subito colto la palla al balzo per riverniciarsi come improbabile leader della sinistra tutta intera.

Già ha rispolverato i vecchi slogans unificanti dell’antifascismo – come osa il Premier, novello duce, ad appropriarsi del 25 aprile? - o della lotta di classe - questo è un governo che dà ai ricchi e toglie ai poveri- utilizzando il teatro mediatico per rinnovare il suo profilo di capo popolo sbattuto in prima pagina più per protesta che per convinzione. Ma servirà? Si dimentica tutto in Italia, nessuno ricorda le altalenanti comparsate che hanno portato più volte il leader dell’IDV a collegarsi con la destra di AN fino a proporre l’anno scorso, lui al governo e poco prima delle elezioni, un disegno di legge assieme a Fini ed Alemanno per tagliare i costi della politica.

Così va il mondo e nulla meraviglia più. Spariti a sinistra i cortei oceanici antiguerra, antiamericani e anti imperialisti, un lontano ricordo il G8 dei no global di Genova, un’occasione preziosa secondo Bertinotti che ora rimpiange di non aver colto come punto di partenza per rinnovare la sinistra extraparlamentare. Resta Di Pietro a tenere alta la bandiera oltranzista e antagonista dei tempi nuovi. Quale migliore vittoria per la normalizzazione ispirata e voluta dal Cavaliere con un partito di sua proprietà ed un’opposizione ridotta così?

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