È ora salvare il Paese dal declino
Nuove Repubbliche cercansi
Serve subito un nuovo leader per placare il mondo preoccupato degli industrialidi Enrico Cisnetto - 05 novembre 2010
La Confindustria ha voltato le spalle al Cavaliere e al suo governo, come spera Bersani che del rapporto con gli industriali si sente orfano? O siamo di fronte alla solita lamentela di chi tanto ha avuto e non si accontenta mai, ma che alla fine pur tirando la corda si guarda bene dallo spezzarla, come credano tutti quelli che nel Pdl hanno costruito un rapporto privilegiato con lady Marcegaglia? L’esperienza dovrebbe indurci a pensare che un conto è la critica e altro la sfiducia, e dunque a credere alla ricomponibilità del rapporto tra il premier e “casa sua”.
Il susseguirsi delle prese di posizione, invece, induce a valutazioni più negative. Un mese fa la Marcegaglia aveva detto che la pazienza degli imprenditori era in via di esaurimento, anche se il fatto che le sue parole fossero state interpretate come un attacco al governo la indusse ad una rapida marcia indietro. Ma a Capri, di fronte alla constatazione che l’Italia stava “andando a puttane” – nel senso più letterale del termine – ecco la presidente di Confindustria parlare di “paese in preda alla paralisi”, di “senso di dignità delle istituzioni andato perduto” e di un dibattito politico che fa “indignare”, denunciando nel contempo il “senso di abbandono” che vivono le imprese.
Certo qualche distinguo c’è stato – curioso quello di Guidalberto Guidi, che pure in altre circostanze non era stato tenero, padre di quella Federica che da presidente dei Giovani di Confindustria proprio a Capri aveva aperto la strada alla Marcegaglia dando voce alla delusione degli imprenditori junior – ma basterebbe leggere la presa di posizione di ieri dell’Agi, l’associazione che raggruppa le grandi imprese che realizzano le infrastrutture, per capire che la base associativa è in fermento, e non solo quella formata dai peones.
Lamentandosi dell’ennesimo rinvio del Cipe (è dal 22 luglio che non si riunisce) che era calendarizzato per oggi – con all’ordine del giorno il programma delle infrastrutture strategiche da avviare prioritariamente a realizzazione nel prossimo triennio, l’autorizzazione di lavori tipo Terzo Valico, Treviglio-Brescia e Mose, e l’approvazione di progetti relativi al collegamento ferroviario Monaco-Verona, attraverso il Brennero, al corridoio Roma-Latina e all’autostrada Livorno-Civitavecchia – la potente Agi afferma molto seccamente che si è di fronte “all’ennesima manifestazione della paralisi del Governo, della sua incapacità di assumere le decisione necessarie per lo sviluppo e l’occupazione”.
Sapete da chi è formata l’Agi? Da colossi delle grandi opere che si chiamano Impregilo, Astaldi, Vianini, Condotte, Salini-Todini, Gavio, Pizzarotti e così via. Gente che fattura complessivamente una decina di miliardi e si sente tradita nelle aspettative, anche perché le decisioni rinviate non riguardano nuovi capitoli di spesa, ma attivazione di stanziamenti già deliberati da oltre un anno e mai attuati.
Insomma, il mondo produttivo sta passando dalla fase della preoccupazione e al massimo dell’arrabbiatura tenuto dentro a quella della sfiducia, e per di più pronunciata a voce alta. Ed è per questo che la Marcegaglia – probabilmente suo malgrado – ha dovuto farsene interprete, per non correre il rischio di essere scavalcata da una vera e propria rivolta interna.
Il problema, però, è che la reazione rischia di rivelarsi sterile se non va oltre la denuncia e non diventa una “posizione politica” vera e propria, costruttiva. Per questo tutto il fronte imprenditoriale – non solo Confindustria, dunque – dovrebbe tentare un’analisi critica e autocritica di quanto sta succedendo, capire che in discussione non può esserci solo il governo Berlusconi quanto il sistema politico nel suo insieme. Se non si capisce che nelle difficoltà odierne, come in quelle che sotto altri profili hanno seppellito il governo Prodi e con esso il centro-sinistra, c’è soprattutto il fallimento del maggioritario e del bipolarismo all’italiana che la stessa Confindustria nel passato ha voluto e sostenuto fortemente – basti pensare al referendum Segni – non si capisce niente della portata storica della crisi che vive il Paese. Questa non è l’agonia del governo Berlusconi e del centro-destra, è la fine della Seconda Repubblica.
Il Paese rivive – nella sostanza ovviamente, perché le differenze puntuali sono molte – la drammatica stagione 1992-1994 che portò alla morte della Prima Repubblica e poi alla nascita di quella che, impropriamente visto che nessuna discontinuità costituzionale è intervenuta, abbiamo chiamato Seconda.
Esserne coscienti, per gli imprenditori e più in generale per la borghesia, significa favorire la transizione in tempi rapidi verso la Terza Repubblica. Come? Alimentando la nascita di nuovi soggetti politici e l’emergere di nuovi leader. Consapevoli che non è più tempo di deleghe in bianco, né di qualunquismo che alimenta l’anti-politica, né di furbesche scorciatoie. Ora è venuto il momento di ritrovare finalmente il senso del proprio ruolo: assumersi la responsabilità di salvare il Paese dal declino.
Il susseguirsi delle prese di posizione, invece, induce a valutazioni più negative. Un mese fa la Marcegaglia aveva detto che la pazienza degli imprenditori era in via di esaurimento, anche se il fatto che le sue parole fossero state interpretate come un attacco al governo la indusse ad una rapida marcia indietro. Ma a Capri, di fronte alla constatazione che l’Italia stava “andando a puttane” – nel senso più letterale del termine – ecco la presidente di Confindustria parlare di “paese in preda alla paralisi”, di “senso di dignità delle istituzioni andato perduto” e di un dibattito politico che fa “indignare”, denunciando nel contempo il “senso di abbandono” che vivono le imprese.
Certo qualche distinguo c’è stato – curioso quello di Guidalberto Guidi, che pure in altre circostanze non era stato tenero, padre di quella Federica che da presidente dei Giovani di Confindustria proprio a Capri aveva aperto la strada alla Marcegaglia dando voce alla delusione degli imprenditori junior – ma basterebbe leggere la presa di posizione di ieri dell’Agi, l’associazione che raggruppa le grandi imprese che realizzano le infrastrutture, per capire che la base associativa è in fermento, e non solo quella formata dai peones.
Lamentandosi dell’ennesimo rinvio del Cipe (è dal 22 luglio che non si riunisce) che era calendarizzato per oggi – con all’ordine del giorno il programma delle infrastrutture strategiche da avviare prioritariamente a realizzazione nel prossimo triennio, l’autorizzazione di lavori tipo Terzo Valico, Treviglio-Brescia e Mose, e l’approvazione di progetti relativi al collegamento ferroviario Monaco-Verona, attraverso il Brennero, al corridoio Roma-Latina e all’autostrada Livorno-Civitavecchia – la potente Agi afferma molto seccamente che si è di fronte “all’ennesima manifestazione della paralisi del Governo, della sua incapacità di assumere le decisione necessarie per lo sviluppo e l’occupazione”.
Sapete da chi è formata l’Agi? Da colossi delle grandi opere che si chiamano Impregilo, Astaldi, Vianini, Condotte, Salini-Todini, Gavio, Pizzarotti e così via. Gente che fattura complessivamente una decina di miliardi e si sente tradita nelle aspettative, anche perché le decisioni rinviate non riguardano nuovi capitoli di spesa, ma attivazione di stanziamenti già deliberati da oltre un anno e mai attuati.
Insomma, il mondo produttivo sta passando dalla fase della preoccupazione e al massimo dell’arrabbiatura tenuto dentro a quella della sfiducia, e per di più pronunciata a voce alta. Ed è per questo che la Marcegaglia – probabilmente suo malgrado – ha dovuto farsene interprete, per non correre il rischio di essere scavalcata da una vera e propria rivolta interna.
Il problema, però, è che la reazione rischia di rivelarsi sterile se non va oltre la denuncia e non diventa una “posizione politica” vera e propria, costruttiva. Per questo tutto il fronte imprenditoriale – non solo Confindustria, dunque – dovrebbe tentare un’analisi critica e autocritica di quanto sta succedendo, capire che in discussione non può esserci solo il governo Berlusconi quanto il sistema politico nel suo insieme. Se non si capisce che nelle difficoltà odierne, come in quelle che sotto altri profili hanno seppellito il governo Prodi e con esso il centro-sinistra, c’è soprattutto il fallimento del maggioritario e del bipolarismo all’italiana che la stessa Confindustria nel passato ha voluto e sostenuto fortemente – basti pensare al referendum Segni – non si capisce niente della portata storica della crisi che vive il Paese. Questa non è l’agonia del governo Berlusconi e del centro-destra, è la fine della Seconda Repubblica.
Il Paese rivive – nella sostanza ovviamente, perché le differenze puntuali sono molte – la drammatica stagione 1992-1994 che portò alla morte della Prima Repubblica e poi alla nascita di quella che, impropriamente visto che nessuna discontinuità costituzionale è intervenuta, abbiamo chiamato Seconda.
Esserne coscienti, per gli imprenditori e più in generale per la borghesia, significa favorire la transizione in tempi rapidi verso la Terza Repubblica. Come? Alimentando la nascita di nuovi soggetti politici e l’emergere di nuovi leader. Consapevoli che non è più tempo di deleghe in bianco, né di qualunquismo che alimenta l’anti-politica, né di furbesche scorciatoie. Ora è venuto il momento di ritrovare finalmente il senso del proprio ruolo: assumersi la responsabilità di salvare il Paese dal declino.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.