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Public Policy

Un'apparente contraddizione

Nuova legge elettorale

Monti ha perso la sensibilità o, al contrario, sa esattamente dove andare?

di Enrico Cisnetto - 31 marzo 2012

C’è un’apparente contraddizione sulla scena politica italiana, e bisogna capire cosa nasconda. Perché proprio mentre i partiti, o meglio la triade Alfano-Bersani-Casini supportata da un gruppo di lavoro capeggiato da Luciano Violante, sono arrivati a definire un’intesa sulla modifica della legge elettorale e persino di alcune norme costituzionali, il presidente del Consiglio si prende la briga di un’intemerata contro la “vecchia politica”, accusandola di essere priva di consenso tra gli italiani, così violenta da indurlo successivamente ad una marcia indietro sotto forma di lettera al Corriere della Sera? Non ha senso. Allora, Monti è impazzito? Ha perso quella sensibilità che un po’ tutti gli hanno riconosciuto, con compiaciuto stupore, in questi mesi? Oppure teme che dietro quell’annuncio ci sia ancora troppo poco per stare tranquilli che il sistema politico non voglia tornare al vecchio e in fondo tranquillizzante (per chi lo pratica) bipolarismo, e quindi sfida i partiti proprio sul terreno della legittimazione popolare prossima ventura?

Ufficialmente sappiamo che né Monti né il governo in quanto tale hanno intenzione di partecipare alle elezioni. E sappiamo, perché è stato formalmente comunicato, che i partiti sono pronti ad affrontare non solo il cambio della modalità di conteggio del voto, che è legge ordinaria e quindi con un iter parlamentare più semplice, ma anche delle modifiche alla Costituzione, che richiedo il doppio giro tra Camera e Senato. Dunque, i due orientamenti dovrebbero integrarsi: il governo si occupa dello spread e della recessione, i partiti preparano le regole per la partita che dovranno giocare. Ma le cose non stanno proprio così. Primo perché il lavoro che Monti sta facendo è lungi dal poter essere considerato interrompibile fra meno di un anno. Il primo a saperlo è lo stesso premier, e dunque non è attingendo alla sua vanità bensì al suo senso di responsabilità che dovrà prima o poi manifestare la disponibilità a proseguire, in una forma o nell’altra, l’impegno. Che senso avrebbe, dopo aver ben presto gettato la maschera del tecnico a favore di un ruolo di capo del governo a tutto tondo e interpretato con accentuata sensibilità politica, che ora dicesse “non gioco più”? Tra l’altro, gli italiani, che continuano a riservargli un altissimo gradimento nonostante le bastonate fiscali che ha inferto loro, non glielo perdonerebbero, specie dopo avergli sentito dire, compiaciuti, che lui non è Andreotti e non intende “tirare a campare”.

In secondo luogo, non è affatto detto che la tanto annunciata intesa del trio “A-B-C”, e che in realtà ha come principale beneficiario il solo Casini, si possa considerare blindata. Anzi. L’esperienza ci dice che spesso a questi preannunci non sono seguiti i fatti, e lo stesso leader dell’Udc, discutendo con il sottoscritto e Giuliano Ferrara sul palco di “Roma Incontra”, ha mostrato non poca prudenza, per non dire scetticismo. Senza contare che guardando dentro all’ipotesi di mediazione che sarebbe stata trovata, ci si trova un po’ di tutto: mezzo proporzionale e mezzo maggioritario, la soglia di sbarramento ma anche il premietto di maggioranza e pure il diritto di tribuna, un po’ di sistema tedesco con una spruzzata di spagnolo, no alle coalizioni pre-costituite ma si all’indicazione del premier. Insomma, un pasticcio all’italiana, in cui non è affatto detto che venga realizzato il superamento del bipolarismo – ci si arrampica sugli specchi parlando di fine della contrapposizione militare – che è la condizione indispensabile per archiviare definitivamente la Seconda Repubblica e aprire il cantiere della Terza. D’accordo che al tavolo delle trattative il compromesso è d’obbligo, e che qualcuno potrebbe obiettare “meglio portarsi a casa la fine del maledetto ‘porcellum’ che niente”. Ma un conto è sapersi accontentare, un altro assistere alla costruzione di un puzzle con tanti pezzetti di idee diverse. A tutto questo si aggiungano due problemi. Primo: i mal di pancia che l’ipotesi di accordo ha suscitato dentro Pd e Pdl. Tra i Democratici non sono figure di secondo piano a mostrare riserve, ma tutti coloro, Rosy Bindi in testa, che vogliono l’alleanza elettorale con Di Pietro e Vendola (la famosa foto di Vasto) per scelta politica, costi quel che costi, oppure coloro che, immemori della fine che fece la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto, vogliono sfruttare il fatto che il Pd sia avvantaggiato nei sondaggi per vincere e andare al governo, senza troppo preoccuparsi di quali conseguenze questa ipotetica vittoria produrrebbe sul piano politico e della successiva tenuta di quell’esecutivo. Dentro il Pdl la fronda, capeggiata dagli ex An, è meno visibile ma non per questo meno ruvida. Casini conta sulla disponibilità di Alfano, ma deve fare i conti con Berlusconi, che va dicendo in giro, senza neppure arrossire, che lui in vista delle elezioni farà ciò che gli comanda il partito (come se non si sapesse che il partito è suo, o che comunque lui lo considera tale). Il secondo problema è dato dalla povertà del dibattito pubblico sulla politica. Se i media continuano a limitarsi all’opera di delegittimazione della cosiddetta Casta, senza passare ad un’analisi che chiarisca agli italiani i motivi e il costo del fallimento della Seconda Repubblica, sarà difficile che si riesca ad evitare che l’offerta politica alle prossime elezioni sia ancora quella vecchia e che il bipolarismo, magari con Berlusconi ancora protagonista e motivo di divisione, rientri dalla finestra dopo essere uscito dalla porta lo scorso 14 novembre. Eccesso di pessimismo? Può darsi, speriamo. Molto dipenderà da come si comporteranno Monti e il suo governo – c’è da aprire la fase tre, se la seconda era quella di liberalizzazioni e riforma del mercato del lavoro – e dal coraggio che sapranno metterci Casini e il Terzo Polo nell’imprimere una forte accelerata alla definizione di un nuovo soggetto politico, quello che Giorgio La Malfa, pensando a suo padre e a De Gasperi, chiama il “polo della ricostruzione”. Ma di questo parliamo sabato prossimo, giusto per santificare la Pasqua.

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