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Cosa si nasconde dietro il caso Cesare Battisti?

"Nunca vi nada igual"

Dietro allo scontro, fra Brasile e Italia, c’è un ricatto relativo al mondo degli affari

di Davide Giacalone - 31 gennaio 2011

La risposta di Dilma Rousseff, presidente del Brasile, a Giorgio Napolitano è diplomatica nella forma e dura nel contenuto: noi brasiliani non esprimiamo giudizi sulla vostra giustizia, ma voi avete il dovere di rispettare la nostra, il mio predecessore, Lula, ha preso una decisione che condivido e voi Cesare Battisti ve lo scordate.

Perché i brasiliani ci tengono tanto? Perché sfidano anche una parte della loro opinione pubblica? La risposta c’è, e se le nostre autorità avessero fatto maggiore attenzione a chi è il nuovo ministro della giustizia, se ne conoscessero la storia, si sarebbero evitati ulteriori passi falsi. C’è un filo che lega questa vicenda al modo in cui agisce la procura di Milano? C’è un legame fra l’infarto della nostra giustizia e il diniego a consegnarci un assassino? Alle due domande si deve rispondere in modo positivo. E si deve aggiungere una cosa: dietro allo scontro, fra Brasile e Italia, per la sorte di un terrorista, c’è un ricatto relativo al mondo degli affari.

I giornali italiani tendono a raccontarla come una storia d’incomprensione: noi vogliamo far scontare la galera a un cittadino italiano che ha ammazzato quattro volte e loro, invece, credono sia un perseguitato politico, uno che rischia la vita, se torna qui. Le nostre autorità statali, dal governo al Presidente della Repubblica, si rivolgono alle autorità brasiliane come se fossero Calimero: scusate, siamo amici, vogliamo restarlo, ma, forse, caso mai, vi state sbagliando. Invece non si sbagliano proprio per niente, lo hanno fatto apposta. E lo hanno fatto anche per ritorsione. Così come lo hanno fatto per mandarci un segnale inequivocabile: se voi italiani pensate di venire in Brasile per fare affari, fregarci i soldi e portarveli via, avete sbagliato indirizzo, se volete continuare in quella condotta noi vi sbattiamo fuori dalla porta, per la felicità dei vostri concorrenti, e vi facciamo anche il mondiale pernacchio di tenerci un figuro come Battisti.

Un ulteriore elemento significativo: l’opposizione nostrana non perde una sola occasione per attaccare il governo, e si capisce. Perché sul caso Battisti hanno soffiato nello zufolo, anziché picchiare la grancassa? Probabilmente perché hanno capito il significato del messaggio, conservando memoria delle proprie amicizie. Cerchiamo di capirlo anche noi, visto che questo giornale è stato quello che prima, meglio e più approfonditamente di altri (pubblicammo anche un libro) ne ha raccontato la radice. Ecco un fatto: il nuovo ministro della giustizia, in Brasile, si chiama José Eduardo Cardozo, e, non appena nominato, ha detto di condividere la scelta fatta dal presidente Lula, che aveva appena passato la mano al successore. E’ andato oltre, e qui sta la chiave: il 4 gennaio, giorno prima della nomina a ministro, ha pubblicato nel suo sito internet il contenuto di un’interrogazione da lui presentata, allora semplice deputato del PT (Partido dos Trabalhadores il partito di Lula), nel luglio del 2004, con la quale chiedeva lumi sul comportamento di Telecom Italia in Brasile e sulla superfatturazione imposta a Brasil Telecom nell’acquisto di una compagnia telefonica, la Crt (raccontai tutto).

Centinaia di milioni di dollari volatilizzati. Ebbene, lo stesso Cardozo ricorda che la sostanza di quelle denunce fu indirizzata, per il tramite del consolato italiano di San Paolo, alla giustizia italiana, da alcuni nostri cittadini residenti in Brasile. Fra di loro Piero Marini Garavini. Lo stesso Garavini ha poi provveduto, per la seconda volta, a inviare il tutto alla procura di Milano, ma il materiale non risulta mai pervenuto. Fin qui, riferisco. Ora vi racconto quel che so direttamente. Quando fui sentito, quale parte lesa, nel corso dell’inchiesta sugli spioni che lavoravano in Telecom Italia (i quali mi avevano pedinato, intercettato, dossierato, diffamato e annientato la memoria del computer), dissi ai procuratori milanesi che parte delle informazioni in mio possesso giungevano da una persona che non ho mai conosciuto o incontrato, ma che s’indirizzava a me via mail: Piero Marini Garavini. Sa molte cose, ho potuto constatare che sono fondate, visto che siete interessati a sapere, vi conviene sentirlo. Non lo hanno mai né cercato né convocato.

Apro una parentesi: non credo che per quelle faccende si farà mai giustizia. Anzi, sono sicuro, perché non può chiamarsi giustizia quella che si trascina da un decennio all’altro. Quel che avevo da dire lo dissi e nessuno ha potuto smentirmi. Per il resto, essendo una persona civile, vale per tutti la presunzione d’innocenza. Anche se, in qualche caso, sembra derivare più dall’essere presuntuosi che presunti. Chiusa parentesi. Il ministro Cardozo non è nato ieri, non è un ingenuo, e se quella pagina internet è rimasta al suo posto solo per poco tempo è segno che non ce ne voleva molto perché ne fosse colto il significato: signori italiani, piantatela di credere che noi brasiliani si sia il paese delle banane, semmai lo siete voi. Chiaro? E aggiunge: “como deputado e professor de Direito, nunca vi nada igual”. Non ve lo traduco, mi pare evidente.

Il che, letto da quest’altra parte del mondo, ha anche un altro significato: la procura di Milano vive lampi d’attivismo frenetico, frugando nelle alcove, ma talora è colta da irresistibile apatia, certamente casuale.

Pubblicato da Libero

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