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Il terzo incomodo e il risultato incerto

Non tutti i mali vengono per nuocere

L’ipotesi che dalle urne non esca una maggioranza chiara e definita non è necessariamente da considerarsi un evento nefasto.

di Massimo Pittarello - 28 dicembre 2012

“Meno male che Silvio c’è” un emblematico inno che per anni ha contraddistinto lo scenario politico italiano, diviso fra due fazioni contrapposte: da una parte quelli che ritenevano Berlusconi la causa esclusiva di ogni problema italiano. Dall’altra, coloro che credevano, e magari credono ancora, che il Cavaliere avrebbe potuto cambiare l’Italia, attuare la rivoluzione liberale, creare ricchezza, un milione di posti di lavoro, uno stato efficiente, e non ci è riuscito per colpa dei media faziosi, dei magistrati comunisti, degli alleati infedeli.

Non è certo possibile discutere del merito di ogni provvedimento o iniziativa proposta, annunciata o dimenticata da Silvio Berlusconi in questi anni. E’ però in ogni caso ovvio che in Italia sono necessarie innumerevoli e profonde radicali, sulla quasi totalità delle quali, però, la presenza di Berlusconi incide in modo determinante, creando due schieramenti nemici che litigano su tutto. Un esempio a caso: le possibilità di intervenire in materia di giustizia, sia civile che penale, fin tanto che il “plurimputato” sono assai scarse.

Questa paralisi c’è anche se si parla di lavoro. Ricordate quando Berlusconi provò ad intervenire sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori? L’allora segretario della Cgil, Sergio Cofferati, portò in un solo giorno tre milioni di persone in piazza a Roma. Tutti consapevoli della sacralità e delle necessita del mantenimento di una disposizione del 1970? Fra quei tre milioni assai pochi manifestarono per difendere l’articolo 18. La stragrande maggioranza lo fece in opposizione a Berlusconi, tanto è vero che qualche mese fa, con sull’ipotesi di riforma avanzata del Ministro Fornero, della stessa opposizione non si è vista nemmeno l’ombra.

Qualunque riforma, dal welfare alla pubblica amministrazione, dal fisco all’università - e tante altre sarebbero da fare - è impossibile con Berlusconi sul proscenio della politica italiana, poiché ogni argomento si trasforma in un plebiscito pro o contro di lui, e ogni provvedimento viene sostenuto o rigettato solo in base al consenso che si può avere o meno nei confronti del Cavaliere.

Le riforme profonde come quelle di cui l’Italia ha bisogno non possono essere adottate da maggioranze parlamentari fondate sul “Berlusconi si – Berlusconi no”. Ne sono palese dimostrazione la disastrosa riforma del Titolo V, introdotta dal Centrosinistra per sfilare qualche argomentazione federalista alla Lega, o la “devolution” bocciata dal referendum costituzionale nel 2006. Con Berlusconi sulla scena è stato persino impossibile cambiare una “porcata” di legge elettorale. Si potrebbe proseguire a lungo.

L’evidenza è invece che la presenza alle prossime elezioni di Monti, seppur soggetta a una “strana candidatura” ancora ambigua nella sua formulazione, offrirà agli elettori dell’area moderata, liberale e conservatrice, un’alternativa autorevole e innovativa alla proposta berlusconiana. Il Professore è un concorrente di Berlusconi nella guida del centrodestra e non è un segreto che i due abbiano un impostazione e un carattere assolutamente agli antipodi.

Non è chiaro quale sarà l’esito del voto: la sinistra potrebbe vincere, ma potrebbe anche avere uno scarto ridotto, se non impattare in un complicato pareggio al Senato. L’ipotesi che dalle urne non esca una maggioranza chiara e definita non è necessariamente da considerarsi un evento nefasto. Una governo retto da una coalizione Pd-Sel, sia essa solida o – a maggior ragione – numericamente superiore solo di qualche senatore, è difficile possa supportare l’azione di governo per la durata di un’intera legislatura, ma anche solo di attuare quelle riforme di cui tanto l’Italia necessita.

Ma proprio quei provvedimenti di cui c’è tanto e disperato bisogno potrebbero essere adottati nel corso in una “legislatura costituente”, fondata su un dialogo costruttivo fra la parte riformista e progressista del centrosinistra e la coalizione guidata da Monti, che sarebbe a quel punto l’interlocutore sostitutivo della destra berlusconiana rendendo inutile il consenso dell’uomo di Arcore e decretando la sua fine politica e l’ingresso della Terza Repubblica.

Un asse europeista e riformatore basato sull"alleanza Monti – Bersani, che escluda i conservatori di sinistra e i populismi di destra, che risponda con la buona politica all’antipolitica, che si fondi su un sano pragmatismo scevro da anacronistiche e controproducenti ideologie, che faccia fare all’Italia già nel 2013 il salto verso la “Terza Repubblica”.

Un nuova “repubblica” sotto diversi aspetti: culturale e d’immagine, con il recupero della credibilità da parte del nostro Paese e della nostra politica (ove possibile); politica e programmatica, con la fine degli slogan elettorali, degli inganni televisivi, della contrapposizione plebiscitaria Berlusconi si-Berlusconi no, ma soprattutto con l’introduzione di un’agenda programmatica di governo che sia in grado di fermare quel declino che da 20 anni ha intrapreso l’Italia, rivoluzionando il Paese, riformandolo da cima a fondo.

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