Vizi e virtù dell’(ex)erede di Gianni Agnelli
Non sparate su Tronchetti
Lo show down su Telecom non conviene a nessuno: Mtp ora apra a offerte italianedi Enrico Cisnetto - 06 aprile 2007
La si può pensare come si vuole sulla vexata questio Telecom, ma su una cosa bisogna convenire: sul carattere e le qualità di tattico di Marco Tronchetti Provera. Come al solito, i ruffiani di ieri sono diventati i killer di oggi, quelli che gli avevano cinto la testa con la corona di “re del capitalismo italiano” che era stata di Gianni Agnelli, da quando ha lasciato il vertice della Telecom e di fatto ha messo sul mercato Olimpia, hanno preso a linciarlo con inaudita violenza. Di colpo, è diventato il “marito di Afef”, un pataccaro che non ha mai avuto uno straccio di strategia industriale, un vessatore dei piccoli risparmiatori, un “furbone del quartierone”. Di più, lo si è dipinto come un Al Capone dedito a ricattare il mondo intero. Altro che capello brizzolato al vento delle barche a vela, altro che campione del made in Italy in versione english style.
Intendiamoci, MTP di errori ne ha commessi, e molti. A cominciare dal prezzo pagato a suo tempo, e relativi impicci con Chicco Gnutti. Passando per la fusione Telecom-Tim. E finendo con la scelta di Guido Rossi come suo successore. Ma Tronchetti rimane pur sempre l’unico che, di fronte al passar di mano – necessità, non scelta – della “razza padana” che aveva fatto la maledetta opa a debito, si è offerto di prendere in mano una patata che più bollente non poteva essere. Allora, cinque anni fa, nessun gruppo italiano si fece avanti, il capitalismo nostrano latitò esattamente come al momento della privatizzazione, quando Ciampi dovette fare salti mortali per mettere insieme quel “nocciolino molle” che fu la premessa per la scalata sciagurata. Non solo. Mentre il gruppo era stato caricato di ulteriore indebitamento oltre a quello dell’opa, con temerarie acquisizioni in Sudamerica, la gestione di MTP si è rivelata oculata, con tanto di gravosi write-off, tanto che fino al momento dell’incorporazione di Tim il debito era calato in modo significativo.
Certo, nel corso del 2006 MTP ha cercato soluzioni drastiche, aprendo fronti con Telefonica, con Murdoch e persino con Mediaset. Segno che, con il titolo costantemente intorno alla metà di quei 4,2 euro pagati a suo tempo, Tronchetti riteneva fosse giunto il momento di una svolta. Anche qui non sono mancati gli errori: qualche arroganza di troppo, alimentata anche dai banchieri d’affari che da sempre lo circondano, la sopravalutazione della presunta posizione super-partes nella dialettica con la politica. Soprattutto, è mancata l’idea – solo apparentemente pensiero debole – di trasformare la sua posizione da socio di riferimento che inevitabilmente tende a comportarsi come se fosse quello di controllo, a manager di qualcosa di più grande e forte, di cui possedere una piccola porzione di capitale e alla quale dare la fisionomia di vera public company. Ecco, forse la mancanza di coraggio di fare questa scommessa è stato l’errore strategico che si può veramente imputare a Tronchetti, ben sapendo comunque che in Italia non ci ha mai provato nessuno. Ma da qui al linciaggio che lo portò, nel settembre scorso, a lasciare la presidenza e cominciare un percorso di uscita definitiva da Telecom, ce ne corre.
So che non è elegante, ma un’autocitazione è necessaria, di fronte allo strepitio di chi accusa Tronchetti di “tradimento patrio”. Scrivevo sul Foglio del 29 settembre 2006 che “non è nell’interesse di nessuno – banche, governo, uomini politici, gruppi di potere – puntare allo show-down. Come si è già visto nella guerra intorno a Mediobanca, da questi scontri di potere escono perdenti tutti, anche quelli a cui sembra di aver vinto ai punti. Poteri deboli, altro che poteri forti.
Allora, per una volta prevalga la ragionevolezza, e ci si attrezzi a trovare una soluzione”. Sono passati sei mesi, nel corso dei quali taluni banchieri che avevano dato rassicurazioni sul prezzo non hanno mantenuti gli impegni, e ora ci si strappa le vesti perchè MTP ha colto di sorpresa tutti aprendo la trattativa con At&t e American Movil. Una situazione in cui la sorpresa sta nel fatto che un imprenditore dato per morto – il riferimento ai casi Montedison e Rizzoli lo fa lui stesso – ha dimostrato di non esserlo affatto. Si poteva davvero immaginare che accettasse il “commissariamento” di Telecom ad opera dell’ineffabile avvocato Rossi, colui che senza un’azione la fa da padrone e pretende di condannare chi ne ha il 19% presumendo di rappresentare il restante 81%? O che svendesse, impaurito dal tintinnio di manette che da mesi si fa sinistramente risuonare?
Ma attenzione, ora non si commetta l’errore opposto: Tronchetti ha sì piantato due paletti – quello temporale, un mese, e di prezzo, 2,92 euro – ma non per questo ha chiuso ad eventuali altre offerte, specie se “italiane”. Basta che siano alla luce del sole, senza armi cariche (togliamogli la rete, usiamo la golden share) né tantomeno scambi incestuosi (ok a Mediaset in cambio della Gentiloni).
Pubblicato su il Foglio di venerdi 6 aprile
Intendiamoci, MTP di errori ne ha commessi, e molti. A cominciare dal prezzo pagato a suo tempo, e relativi impicci con Chicco Gnutti. Passando per la fusione Telecom-Tim. E finendo con la scelta di Guido Rossi come suo successore. Ma Tronchetti rimane pur sempre l’unico che, di fronte al passar di mano – necessità, non scelta – della “razza padana” che aveva fatto la maledetta opa a debito, si è offerto di prendere in mano una patata che più bollente non poteva essere. Allora, cinque anni fa, nessun gruppo italiano si fece avanti, il capitalismo nostrano latitò esattamente come al momento della privatizzazione, quando Ciampi dovette fare salti mortali per mettere insieme quel “nocciolino molle” che fu la premessa per la scalata sciagurata. Non solo. Mentre il gruppo era stato caricato di ulteriore indebitamento oltre a quello dell’opa, con temerarie acquisizioni in Sudamerica, la gestione di MTP si è rivelata oculata, con tanto di gravosi write-off, tanto che fino al momento dell’incorporazione di Tim il debito era calato in modo significativo.
Certo, nel corso del 2006 MTP ha cercato soluzioni drastiche, aprendo fronti con Telefonica, con Murdoch e persino con Mediaset. Segno che, con il titolo costantemente intorno alla metà di quei 4,2 euro pagati a suo tempo, Tronchetti riteneva fosse giunto il momento di una svolta. Anche qui non sono mancati gli errori: qualche arroganza di troppo, alimentata anche dai banchieri d’affari che da sempre lo circondano, la sopravalutazione della presunta posizione super-partes nella dialettica con la politica. Soprattutto, è mancata l’idea – solo apparentemente pensiero debole – di trasformare la sua posizione da socio di riferimento che inevitabilmente tende a comportarsi come se fosse quello di controllo, a manager di qualcosa di più grande e forte, di cui possedere una piccola porzione di capitale e alla quale dare la fisionomia di vera public company. Ecco, forse la mancanza di coraggio di fare questa scommessa è stato l’errore strategico che si può veramente imputare a Tronchetti, ben sapendo comunque che in Italia non ci ha mai provato nessuno. Ma da qui al linciaggio che lo portò, nel settembre scorso, a lasciare la presidenza e cominciare un percorso di uscita definitiva da Telecom, ce ne corre.
So che non è elegante, ma un’autocitazione è necessaria, di fronte allo strepitio di chi accusa Tronchetti di “tradimento patrio”. Scrivevo sul Foglio del 29 settembre 2006 che “non è nell’interesse di nessuno – banche, governo, uomini politici, gruppi di potere – puntare allo show-down. Come si è già visto nella guerra intorno a Mediobanca, da questi scontri di potere escono perdenti tutti, anche quelli a cui sembra di aver vinto ai punti. Poteri deboli, altro che poteri forti.
Allora, per una volta prevalga la ragionevolezza, e ci si attrezzi a trovare una soluzione”. Sono passati sei mesi, nel corso dei quali taluni banchieri che avevano dato rassicurazioni sul prezzo non hanno mantenuti gli impegni, e ora ci si strappa le vesti perchè MTP ha colto di sorpresa tutti aprendo la trattativa con At&t e American Movil. Una situazione in cui la sorpresa sta nel fatto che un imprenditore dato per morto – il riferimento ai casi Montedison e Rizzoli lo fa lui stesso – ha dimostrato di non esserlo affatto. Si poteva davvero immaginare che accettasse il “commissariamento” di Telecom ad opera dell’ineffabile avvocato Rossi, colui che senza un’azione la fa da padrone e pretende di condannare chi ne ha il 19% presumendo di rappresentare il restante 81%? O che svendesse, impaurito dal tintinnio di manette che da mesi si fa sinistramente risuonare?
Ma attenzione, ora non si commetta l’errore opposto: Tronchetti ha sì piantato due paletti – quello temporale, un mese, e di prezzo, 2,92 euro – ma non per questo ha chiuso ad eventuali altre offerte, specie se “italiane”. Basta che siano alla luce del sole, senza armi cariche (togliamogli la rete, usiamo la golden share) né tantomeno scambi incestuosi (ok a Mediaset in cambio della Gentiloni).
Pubblicato su il Foglio di venerdi 6 aprile
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.