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Sull’andamento nazionale, un’oggettiva differenza

Non più solo magliette e scarpe

Il Nord-Est visto da Regione Veneto e Rapporto Congiunturale della Fondazione Nord Est

di Enrico Cisnetto - 26 luglio 2006

Settori produttivi che scommettono su ricerca e sviluppo, occupazione in crescita maggiore rispetto al resto d’Italia, export che riparte dopo una lunga fase di stasi, manifatturiero che si sposta verso le produzioni ad alto valore aggiunto. Insomma, non più – o non solo – magliette e scarpe, ma un’economia in trasformazione, che accetta la sfida della globalizzazione e si evolve sempre più rapidamente. La fotografia del Nord-Est scattata dal rapporto statistico 2006 della Regione Veneto e dal Rapporto Congiunturale della Fondazione Nord Est ci parla della straordinaria metamorfosi che sta investendo il territorio dell’ultimo grande boom italiano, il quale, dopo un periodo di spiazzamento, ha avuto il coraggio di ripensare il suo versante produttivo attraverso il taglio dei suoi distretti industriali ormai obsoleti, e può oggi guardare al futuro con ragionevole ottimismo.
Intanto perché la congiuntura volge decisamente al bello. Il primo semestre è stato brillante per la produzione del Nord Est: a giudizio degli stessi operatori sarebbe cresciuta del 22,6%, e in particolare nel Veneto del 23,7%. E’ significativo, poi, che i maggiori tassi di sviluppo siano stimati nelle aziende con più addetti, ulteriore prova che il nanismo industriale non paga. Anche il fatturato (+22,4%) e il portafoglio ordini (+42,3%) continuano a crescere in tutto il Nord-Est, con punte maggiori nel Veneto. La regione contribuisce con una quota del 9,1% al pil nazionale, grazie soprattutto ai servizi, la cui quota di valore aggiunto è cresciuta dell’1,3%, arrivando al 62,4%. Ed è proprio la crescente terziarizzazione a contribuire all’aumento generale della produttività e al potenziale innovativo regionale: ne è testimone la quota di spesa in ricerca e sviluppo sul pil, uno 0,7% che – seppure inferiore alla media italiana dell’1,1% – è cresciuto dal 1999 al 2003 di circa il 40%. Il manifatturiero, la cui quota di incidenza è destinata a calare – ma non al livello di altre aree d’Italia e d’Europa – sta coinfermando di essersi orientato verso produzioni di alta qualità e tecnologia, e quindi con grandi potenzialità di mercato. Questo dimostra che alcune realtà imprenditoriali – quelle che hanno saputo puntare sull’innovazione di processo e di prodotto e sulla qualità, quasi sempre di medie dimensioni, all’avanguardia nell’uso della tecnologia e coraggiose nell’investire in ricerca percentuali altissime del loro fatturato – continuano a mietere profitti e a godere di ottime prospettive. Collegata a questo è il raddoppio del numero dei laureati veneti negli ultimi dieci anni e l’aumento del 35% di chi lavora o ha un titolo di studio in settori inerenti la scienza e la tecnologia, pari al 10,1 per mille contro una media italiana del 9,4. E i risultati si vedono: in un solo anno (il 2003) sono state presentate ben 4.834 domande di brevetto, di cui 979 per invenzioni vere e proprie; 3.329 per marchi; 526 per modelli. L’occupazione cresce più che in Italia (+1% contro +0,7%), così come il tasso di occupati rispetto alla popolazione. L’export, la cui variazione tendenziale annua nel primo trimestre del 2006 è stata del +5,1%, conferma una tendenza ormai tradizionale nella regione, che è al secondo posto tra quelle italiane per merci vendute all’estero.
Insomma, c’è un’oggettiva differenza tra l’andamento dell’economia nazionale e quella del Veneto: i numeri tendenziali viaggiano o al contrario di quelli negativi del Paese, o più velocemente di quelli positivi. Il che fa pensare che il ricco Nord Est non solo possa essere ancora la locomotiva della nostra economia, ma che, grazie alla morfogenesi che sta vivendo, sia anche il “laboratorio” in cui si sperimenta come affrontare le sfide della qualità (sociale e produttiva), dell"innovazione, della selettività, della modernità.
Ma, detto questo, sarebbe un doppio grave errore immaginare sia che il Nord Est può “fare da solo”, prescindendo da come va il resto dell’Italia, sia che il Paese nel suo complesso possa farsi trainare dalla sua zona più forte. Certo, i dati presentati ieri dalla Regione, secondo cui i cittadini veneti danno all’Erario mediamente 5692 euro all’anno ma se ne vedono tornare meno della metà, cioè il 41% del proprio pil, contro una media nazionale che supera il 54%, farebbero desiderare un regime autarchico, e buona notte. Ma sappiamo che nel mondo globale i meccanismi di interdipendenza sono più forti e vincolanti di quanto non appaia, e non bisogna cadere in inutili tentazioni. Al contrario, occorre che il Veneto e il Nord-Est “lancino un’opa” sul Paese, conquistandolo. Deve cioè essere la politica locale a produrre una classe dirigente capace di “scalare” quella nazionale, così come l’imprenditoria a compiere un salto di qualità verso produzioni a più alto valore aggiunto, abbandonando il “terziario arretrato”, il nanismo delle imprese e l’industria obsoleta. Solo così il Veneto, il Nord-Est e l’Italia tutta potranno guardare al futuro con “sicuro” ottimismo.

Pubblicato sul Gazzettino del 26 luglio 2006

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