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Tanti attori sul proscenio ma un unico direttore

Non più cronaca, è quasi storia

Il successo del Cavaliere? Fin troppo spiegabile, vedi la parabola dei radicali

di Elio Di Caprio - 12 maggio 2009

Nel pieno della saga politico-familiare dell’uomo di Arcore ( così definito fino a poco tempo fa dalla stampa di sinistra) alcuni passaggi fondamentali di quanto avvenuto negli ultimi 15 anni sono di per sé rivelatori anche se siamo lontani da bilanci finali. Dai fili aggrovigliati di quanto successo finora possono venir fuori qualche verità e tanti personaggi.

In un caustico intervento apparso sul “Foglio” di Giuliano Ferrara, Pietrangelo Buttafuoco che non riconosce a questa destra il diritto di chiamarsi tale, elenca e ci ricorda tutti gli scarti (anche onorevoli) del centro destra di cui in questi anni si sono appropriati invano gli avversari della sinistra per prevalere. Si va da Vittorio Dotti a Stefania Ariosto (il famoso teste Omega) e poi all’enigmatico Lamberto Dini, ritornato alla casa madre dopo tanti ribaltoni, all’internauta di partito Clemente Mastella, a Domenico Fisichella, allo stesso Marco Follini già vice del governo Berlusconi di due legislature fa. Per non parlare di Romano Misserville, un ex (?) fascista tutto d’un pezzo, arruolato per breve tempo come sottosegretario del governo D’Alema. Chi si ricorda più dei tanti passaggi? Tutto però è stato inutile.

E’ arrivato persino il recente tentativo della sinistra alla Santoro di appropriarsi a posteriori di un personaggio immagine come Indro Montanelli. Ma per completare il quadro perché non lo riempiamo con Antonio Di Pietro e Marco Travaglio che non sono certo politicamente nati come stinchi di sinistra? E poi di converso quanti sono quelli che hanno fatto il triplo salto mortale da sinistra a Forza Italia, da Paolo Guzzanti già giornalista di punta di Repubblica, a Ferdinando Adornato, anch’egli di Repubblica e già leader di “Alleanza Democratica”, a tutti gli altri ex socialisti craxiani che ancora permangono alla corte del re? In mezzo tante altre figure, emergenti o già emerse, dall’ex comunista Sandro Bondi, fulminato dal fascino del Cavaliere, allo stesso don Gianni Baget Bozzo, recentemente scomparso, antenna intellettuale di tutto rispetto con visione mistica dell’avvenire del centro destra guidato da Berlusconi.

Ma per la sinistra la lotta non è finita. Adesso c’è da catturare Gianfranco Fini che, dice l’irriverente Buttafuoco, non fa manco in tempo a diventare il leader morale della sinistra e già il suo posto se l’è visto fregare dalla signora Veronica…
Magico Silvio! si direbbe e Berlusconi ci informa compiaciuto alla TV nazionale che già la gente lo dice. Ma non è solo spettacolo.

La realtà di questi quindici anni è che – le televisioni non c’entrano- è sempre il Cavaliere a sparigliare i giochi degli altri invece di essere sparigliato, folgora ancora tutti, cortigiani, veline, l’intero popolo italiano, almeno a sentire i sondaggi che lo danno in crescita costante. Solamente la consorte fa intravedere un declino possibile, l’invidioso coetaneo Giampaolo Pansa gli ha proposto invano di gettare la spugna. Ma siamo sicuri che il Cavaliere non si farà sparigliare tanto presto, neppure dalla fondazione Fare Futuro di Gianfranco Fini.

L’unico che lo ha messo in difficoltà è stato Umberto Bossi- ora sono alleati- nel lontano 1994, quando fece cadere il suo governo in combutta con Massimo D’Alema e Rocco Buttiglione. Ma poi Berlusconi è riuscito via via a sparigliare la bicamerale di D’Alema che voleva imprigionarlo, l’Elefantino di Segni-Fini, la Lega, l’UDC e AN dall’alto di un predellino, ammirato per questo persino dal grande oppositore Fausto Bertinotti.

L’avventura ebbe inizio, ci ricorda Buttafuoco, nel ‘94 con Veronica Pivetti eletta a Presidente del Senato e Carlo Scognamiglio alla Camera, catapultati a simbolo di un’improbabile stagione rivoluzionaria. Tutto passato, assorbito e superato.

Ma Buttafuoco trascura nella sua scanzonata descrizione del passato prossimo un tassello altrettanto importante, in sè emblematico del nuovo spaccato della realtà italiana. Non menziona le vicende della pattuglia dei radicali, antenna sempre sensibile ai cambiamenti (sia che li anticipi, sia che li segua), già sodalizio indistinto di filoni libertari e protestatari che nella “Prima Repubblica” non trovavano altro spazio per apparire e contare.

Anche essi spiazzati dal berlusconismo incombente che non dà più rendite di posizione per vagare tra le vetero- contraddizioni di destra e sinistra. Referendum che hanno perso attrazione e valore, Grillo che grida ai quattro venti che il re è nudo come facevano i radicali di un tempo quando denudavano per protesta la posrnostar Cicciolina e la portavano in Parlamento, la Lega che non si batte per i diritti civili che non siano quelli della propria gente, il casting delle veline come mezzo improprio di reclutamento e di rinnovo delle vecchie nomenklature di partito.

Infine la “dittatura del reality”, come annuncia l’Unità, che fa scolorire ogni afflato di protesta in un gioco mediatico che tutti coinvolge. Sono tempi in cui è più importante apparire che essere militanti o digiunanti ed i radicali se ne sono accorti in tempo.

E cosa ne è della ex pattuglia radicale? Marco Pannella non può più giocare a fare l’”eretico liberale”, Emma Bonino già cooptata dal Cavaliere come commissario europeo ed ora nel PD e per giunta in coalizione con Di Pietro, Rutelli diventato più democristiano che democratico e tutti gli altri, da Elio Vito, a Daniele Capezzone, a Benedetto Della Vedova, alla corte di Berlusconi. Chi l’avrebbe mai pensato che i radicali da sparigliatori di professione sarebbero stati essi stessi sparigliati e sparpagliati?

Eppure è successo, ma non è solo segno dei tempi e conseguenza di internet e della caduta delle passioni civili. C’è evidentemente qualcosa di più specifico e di ampio che Buttafuoco non ha messo a fuoco, prima ed oltre il berlusconismo. Il sociologo Francesco Alberoni direbbe che sono questi i prezzi che si pagano a tutte le rivoluzioni allo stato nascente ed alle transizioni accelerate. Ma è proprio così? C’è stata sì una “rivoluzione”, ma all’italiana, quella in cui tutto il ceto pubblico e di potere si affaccia e si guarda attorno per capire se tutto è cambiato perché nulla cambi e quali siano le nuove opportunità di schieramento su cui fiondarsi in tempo.

A questo punto ci si può meravigliare che l’unico radicale a difesa dei diritti civili sia rimasto Gianfranco Fini, già proveniente dalla destra autoritaria d’antan?
Se si contano sono tanti i personaggi in gioco, tanti gli attori e i comprimari del puzzle italiano, ma l’unico direttore resta Silvio Berlusconi. Non è solo merito suo.

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