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Public Policy

Indignarsi si può, ma serve a poco

Neanche i giudici ci salveranno

Una questione di “mele marce” o un sistema di corruzione invincibile?

di Elio Di Caprio - 19 febbraio 2010

Indignarsi perché? Troppo facile e poi contro chi? Abbiamo visto che nessun girotondo, nessuna piazza aizzata dalle campagne scandalistiche dei giornali o dal tam-tam di Internet riesce a combattere un nemico sfuggente che ora è identificato nella corruzione generale – i casi denunciati secondo i burocrati della Corte dei Conti sono tanti e in aumento, ma sicuramente inferiori a quelli non scoperti - che proprio perché generale ( e generica) non consente di andare oltre l’indignazione di maniera.

Passate le prossime elezioni regionali sarà tutto più chiaro, qualcuno dirà di aver vinto o non di aver perso troppo, ma intanto si sarà fatto un altro passo avanti (?) nel discredito della cosa pubblica. Non tocca certo fare a noi la storia degli ultimi venti anni – è troppo presto e si rischia di farsi sommergere dai pregiudizi, da simpatie e antipatie, dai riflessi condizionati di altre epoche - ma c’è qualcosa di incongruo, di contraddittorio, di non risolto che fa apparire sempre più il passaggio dalla “prima” alla “seconda repubblica” non un nuovo inizio, ma la continuazione stanca di un vecchio paradigma di potere con altri attori ma con la stessa logica partitocratrica e quindi corruttiva, adattata ai tempi cambiati.

Dopo la presunta o fallita “rivoluzione” di Tangentopoli sono rimasti in campo solo il berlusconismo e l’antiberlusconismo, i due grandi paraventi dietro i quali la lotta politica si è via via immiserita e talvolta incarognita, all’ombra dei quali si sono precipitati e raccolti i nuovi commedianti a cui non è richiesta alcuna coerenza se non quella di contribuire, sempre e comunque, a sostenere senza riserve la propria armata e ad affossare gli avversari. Non sarà mai sottolineata abbastanza la responsabilità di chi ha permesso, codificandola nella scheda elettorale, la scelta secca tra due candidati maggioritari senza aver provveduto prima ad una seria riforma della Costituzione che desse la cornice giusta a tale cambiamento, indicando chiaramente competenze e compiti, pesi e contrappesi.

Si è arrivati al grottesco che Silvio Berlusconi, colui che ritiene di avere più potere di tutti perché eletto dal popolo, possa indicare ai quattro venti Gianni Letta come il più degno successore, non suo, ma di Giorgio Napolitano nella carica di capo dello Stato che il Cavaliere stesso giudica ormai di second’ordine rispetto a quella del Presidente del Consiglio.

Non c’è da meravigliarsi che nella lotta senza esclusione di colpi tra le due armate contrapposte il discredito colpisca tutti indistintamente e che gli alibi di appartenenza partitica facciano sorvolare su irregolarità manifeste di una parte come dell’altra. Le accuse di illegalità- terreno fin troppo fertile di scontro quotidiano- hanno un sapore diverso se riguardano il proprio fronte o quello avversario. Le campagne di disinformazione o di deviazione dell’attenzione dell’opinione pubblica fanno il resto.

Del resto cosa potevamo aspettarci dopo 15 anni di transizione infinita? Da una parte i leghisti, gli ex missini e tutti gli ex di altri partiti che tradizionalmente hanno la capacità e l’intuito di fiutare chi è il cavallo vincente hanno irrobustito l’armata berlusconiana che ora rivaluta Craxi ed il suo operato e nessuno ne fa un problema di coerenza. Si dimenticano le gogne missine e i cappi leghisti, si dimenticano le TV dello spregiudicato Cavaliere, l’amico di sempre dell’ex leader socialista, schierate a favore di Mani Pulite e quindi contro ciò che Craxi rappresentava negli anni ‘90 quando ciò serviva al rafforzamento commerciale delle emergenti TV private. Ma chi ci fa più caso? Sull’altro fronte non si è ancora ricomposta l’armata Brancaleone della sinistra, degli “indignati speciali” che cercano sempre il soccorso rosso della corporazione giudiziaria e puntualmente lo trovano.

La notizia della scelta – più scandalosa che inopportuna- del partito di Di Pietro di candidare un (neppure ex) magistrato, pubblico ministero a Bari, di nome Nicastro, titolare di delicate inchieste locali, quale capolista dell’IDV alle prossime Regionali pugliesi viene relegata in quarta pagina rispetto allo scandalo delle “ripassate” di Guido Bertolaso.

Ma chi ha mai la credibilità di protestare in un’atmosfera di reciproche connivenze e convenienze? Certo non l’Associazione Nazionale Magistrati che è super rappresentata in parlamento da magistrati transfughi che hanno deciso di entrare in politica e nemmeno i partiti di maggioranza e di opposizione che negli ultimi anni hanno riempito di giudici nominati le loro liste elettorali senza alcun passaggio di elezioni primarie.

In nessun altro Paese europeo ci sarebbe stata e c’è una tale sfilza di giudici passati in politica, forse per l’elementare considerazione che con i partiti si diventa parte per definizione, si perde la caratteristica fondamentale di essere super partes e adatti a giudicare. L’IDV ha anzi l’orgoglio di presentarsi all’opinione pubblica come il partito dei giudici o meglio dei pubblici ministeri- mastini senza macchia a guardia della morale pubblica.

Chi mena più scandalo se accanto alle candidature di magistrati si accettano come normali quelle, sempre imposte, dei famigli o degli avvocati personali del Presidente o, peggio, quella del fisioterapista del Milan o dell’igienista dentale del Cavaliere, come sembra succederà per le prossime elezioni regionali, secondo anticipazioni della stampa? O sono anche queste notizie scandalistiche e non vere messe ad arte sulla stampa ad opera dei poteri forti che vogliono indebolire il Cavaliere?

Nella guerra di tutti contro tutti di cui parlano molti analisti e commentatori è difficile raccapezzarsi e distinguere. Quello che colpisce e non può durare troppo a lungo è l’obbligata passività dei cittadini –spettatori a cui viene elargito ogni tanto un test di verifica sulla tenuta di maggioranza ed opposizione sul presupposto però che siano ben consapevoli- ce lo dicono fino all’ultimo minuto- che la corruzione è un cancro nazionale inestirpabile da cui non si salva nessuno, né i controllati e né i controllori, né gli uomini politici eletti o da eleggere e neppure i giudici dipendenti dallo Stato.

L’ultima consolazione che viene propinata alla pubblica opinione- di che si lamenta?- è che le mele marce sono ovunque e chi ruba lo fa in proprio e non in nome del partito.

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